E’ un bagno di sangue in Tunisia. Le notizie drammatiche giunte ieri di decine di morti nelle regioni centrali del Paese trovano oggi altre conferme. Durante gli scontri nelle strade avvenuti tra sabato e domenica sarebbero morti 50 manifestanti, stando al sito online della radio tunisina “Kalima”. Il regime ne ammette solo 14 mentre il giornalista d’opposizione e blogger, Zied el-Heni, scrive che solo nelle ultime 24 ore  i morti sono stati almeno 28: 17 a Kasserine, 3 a Rgeb e 8 a Thala, due dei quali domenica mentre partecipavano ai funerali di alcune vittime. Fra i morti di Rgeb, aggiunge, anche una bambina. Un dato è certo al cento per cento. Il presidente-dittatore amico dell’Italia e dell’Occidente, Zine Abidine Ben Ali, responsabile di violazioni dei diritti umani e di torture a danno degli oppositori politici, ha deciso di spegnere ad ogni costo, nel sangue, la rivolta del pane e del lavoro che decine di migliaia di tunisini poveri e disoccupati stanno attuando contro il regime.

Solo ieri sera la televisione statale ha trasmesso un servizio sugli scontri, per il resto i media addomesticati continuano a tacere o comunque a ridimensionare la rivolta. Mentre i servizi di sicurezza bloccano Facebook e i blogger per impedire la diffusione di notizie aggiornate su quanto accade nel paese. I tunisini riescono ad avere informazioni aggiornate solo da al Jazeera e altre tv satellitari arabe.
«Intanto i giovani continuano ad andare in strada per protestare contro la disoccupazione, il carovita sviluppo e la corruzione», riferisce e il gionalista el Heni, aggiungendo che la rabbia della gente ha superato il livello di guardia. Un altro giornalista, Muktar Tlili, descrive la situazione della Tunisia del dittatore Ben Ali, molto lontana da quella patinata delle cartoline e degli opuscoli distribuiti nelle agenzie di viaggio. «Esistono due Tunisie,  spiega Tlili, quella ricca che controlla il potere, l’economia, il turismo e quella interna senza infrastrutture, con l’agricoltura devastata dalla siccità e senza lavoro».
Di fronte al bagno di sangue, ieri uno dei leader storici dell’opposizione, Ahmed Nejib Chebbi, si è appellato a Zine Abidine Ben Ali affinché ordini alla polizia l’ordine di non sparare più per salvare la vita a cittadini innocenti e rispettare il loro diritto a manifestare. Deve «far cessare il fuoco», ha detto il capo del Partito democratico progressista, denunciando che a Tala e a Kasserine i reparti antisommossa «ha sparato sui cortei funebri». Sabato era stato schierato l’esercito a Tala dopo l’assalto a una banca e ad alcuni edifici pubblici e oggi, secondo testimonianze raccolte dall’agenzia francese Afp, la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti. A Kasserine sarebbe stato ucciso un bambino di 12 anni ma la notizia attende ancora una conferma.
In Tunisia la rivolta contro il carovita  e la disoccupazione è iniziata il 17 dicembre dopo che un ambulante laureato si era dato fuoco a Sidi Bouzid per protestare contro la polizia che gli aveva sequestrato la merce. L’uomo è morto il 5 gennaio per le ustioni ma nel frattempo la protesta si è allargata al resto del paese. Il 26 dicembre a Regueb e a Souk Jedid durante le proteste scoppiate proprio sull’onda del tentato suicidio dell’ambulante sono stati dati alle fiamme una banca ed edifici pubblici. Ieri un altro venditore ambulante si è dato fuoco ed è in gravi condizioni. La protesta si era allargata alla capitale il 27 dicembre, coinvolgendo anche giovani laureati che chiedono il diritto al lavoro e la fine della corruzione, con una dozzina di feriti e ieri, sempre a Tunisi, si è tenuta una  manifestazione indetta dall’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini per chiedere «pane e dignità ». Nel corso delle settimane manifestazioni, proteste e tentati suicidi sono stati segnalati anche a Jendouba, nel nord del Paese, a Jbeniana, più a sud vicino a Sfax, e Metlaoui.