mercoledì 11 aprile 2012

Bahrain - La folle corsa

di Ivan Grozny

Era il 14 febbraio 2011, giorno in cui la maggioranza sciita ha iniziato a protestare contro il governo sunnita, in Bahrain. Da quel giorno non c’è stata pace.
Non se ne parla molto ma ci sono stati un numero imprecisato di morti, scontri in piazza, il solito vago numero di persone scomparse nel nulla, ecc..
Questo video è solo di qualche giorno fa, ma spiega bene lo stato delle cose. Ce ne sono tantissimi come questo, in rete. Certo, molti sono di qualità scadente, altri poco nitidi, ma questo è solo un altro aspetto che ci spiega che regime è quello del Bahrain. Controlla tutto.
Reportage ce ne sono stati diversi invece, come questo che vale la pena vedere, che è postato sulle pagine di www.nena-news.globalist.it, uno dei pochi siti di informazione che si occupa ancora di Medio Oriente.
Tra qualche settimana, domenica 22 aprile, in questo Paese si svolgerà il Gran Premio di Formula 1.Bernie Ecclestone, il capo indiscusso del circus  sta svolgendo ancora in questi giorni incontri con i diplomatici del Paese per capire se ci sono rischi nell’organizzazione di questo evento. Rischi? Mi sembra esagerato, Bernie..
La popolazione ha capito che questa potrebbe essere un’opportunità per fare conoscere al mondo quanto sta accadendo da quelle parti e sta facendo di tutto per fare saltare l’appuntamento. Un ragazzino di 12 anni è morto a fine marzo di quest’anno in una di queste manifestazioni. Soffocate con il sangue. Freddato da un colpo di arma di fuoco, non da un proiettile di gomma, sparato dagli agenti sauditi per disperdere la folla. E badate, soldati sauditi.
A parte una seria riflessione su cosa sia davvero la Primavera Araba, sul perché il modo di agire di certi Paesi venga messo sotto la lente di ingrandimento dalla grande stampa, e altri no; ci si dovrebbe chiedere che senso ha organizzare una manifestazione simile in una situazione del genere. Lo sport, tutto, sta perdendo sempre più il senso della realtà. Ed è sempre più un carrozzone che mira solo al business, e si è venduto l’anima.
E’ il petrolio a determinare “interventi umanitari”, campagne stampa, opinioni.
Si è tanto parlato di liberare la Libia da Gheddafi e oggi quale sia la situazione li nessuno se ne cura. Che il Paese stia diventando una nuova Somalia, che abbia subito una sorta di “balcanizzazione”, con la differenza che le divisioni, che a dire il vero ci sono sempre state, è tra tribù. Facile fare la guerra, liberarsi di un avversario, o peggio di uno scomodo concorrente, e poi lavarsene le mani. La copertura mediatica c’è stata fino alla morte del Colonnello, dopo stop.
Del Bahrain non si parla mai, non ci si chiede perché un Paese dove la popolazione, nonostante le risorse petrolifere, non è ricca, non è libera. Gente che chiede e manifesta per i suoi diritti e si vede, oltre che ignorare, anche organizzare il Gran Premio di Formula 1. E’ uno smacco non da poco. Proprio da parte di quei Paesi occidentali a cui paradossalmente si appellano per fare sentire la propria voce.
Lo sport non è da oggi che viene utilizzato per operazione di marketing in grande stile da parte di dittatori. I Mondiali di Calcio di Argentina ‘78, le Olimpiadi di Berlino.. Gli esempi da fare sarebbero tanti.
Con il beneplacito dell’Arabia Saudita, la repressione continuerà. Questa è l’unica certezza. Sono suoi, va sottolineato, gli uomini armati che si occupano di queste operazioni, sul campo. E’ bene ricordarselo. Quindi quando vediamo e sentiamo cosa accade in Siria, che è condannabile tanto quanto, pensiamo anche che ci sono Paesi dove accadono le stesse cose ma non hanno lo stessa visibilità. E non può essere che solo perché uno è un alleato e partner commerciale dell’Occidente, e l’altro un nemico, cambi il modo di interpretare quanto accade.
Un ultima notizia. Abdulhadi Al-Khawaja, il fondatore del Gulf Centre for Human Rights, che aveva segnalato le condizioni in cui vivono gli abitanti del suo Paese e che ha denunciato la violenza repressiva del regime, sta morendo in carcere. Dopo quasi due mesi si sciopero della fame le sue condizioni sono a dire poco, critiche. L’appello che lancia la figlia sembra stia candendo nel vuoto.
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Come Ponzio Pilato, se ne lavò le mani. “Sono le scuderie che devono prendere una posizione, io non posso decidere”. Ma come, Bernie (Ecclestone n.d.r.), non sei tu a decidere? Non sei tu a cambiare i regolamenti, a trattare i diritti televisivi? Si fa sempre più interessante la situazione del GP di F1 in Bahrain. Ma si fa sempre più dura la situazione per i dimostranti.
Il padrone assoluto della FIA non è credibile quando dice che non è lui che deve decidere. Piuttosto, si chiedono alcuni esponenti politici britannici, come si sia potuto, dopo quanto accaduto lo scorso anno, ritentare di organizzare la gara proprio in quei territori. Cosa avrà spinto Ecclestone a riprovarci? Quattrini dite? Può darsi.
La repressione è sempre più dura, e solo grazie al fatto che la protesta è legata al GP ha un minimo di visibilità.
La minoranza sunnita comanda, la maggioranza sciita, che è circa il 70% della popolazione, protesta. Sembrerà una banalizzazione, e lo è, di fatto, ma per inquadrare la situazione non c’è di meglio. Poi sappiamo tutti che le questioni non si possono liquidare in questo modo, perché mai nulla ha la linearità che sembra avere.
Il piccolo Paese in questione è di fatto un protettorato dell’Arabia Saudita, e solo gli iraniani sono apertamente per i dimostranti, e non certo per una questione di libertà, mi verrebbe da dire. Quindi qualsiasi intervento “esterno”, anche solo diplomatico, si può comprendere quanto venga ponderato.
Certo, una volta che si sposterà il GP, perché così andrà a finire, del Bahrain si smetterà di parlare. E non oso immaginare cosa potrà accadere a quel punto.
Quindi approfittare di questo momento è importante per coloro che in piazza scelgono di andarci, anche a costo di venire uccisi o imprigionati (e torturati..). E badate che anche questa volta, più che la spinta per maggiori diritti e libertà, il motivo che ha portato la gente in piazza è stata la fame, la difficilissima condizione in cui è costretta a vivere gran parte della popolazione in Bahrain.
L’Iran è l’unico dei Paesi arabi ad avere una guida sciita. Ma come si potrà immaginare non tutti gli sciiti sono uguali, e le differenze sono ancora più evidenti se si guarda la situazione tra un Paese e l’altro. Lo stesso vale per i sunniti, ovviamente. Le differenze tra i due “gruppi” non sono di tipo etnico, come erroneamente si potrebbe pensare,ma è il tipo di approccio al credo religioso e le differenze nel praticarlo che determinano la divisione. Religiosa e quindi anche politica. Soprattutto, politica.
Per i sunniti lo stato svolge un ruolo molto importante perché pensavano che solo il legittimo successore del profeta potesse guidare lo Stato al meglio. Nel sunnismo, tale guida si chiama califfo. Una sorta di monarca e allo stesso tempo guida spirituale.
Gli sciiti invece credono che l'ultimo imam sia diventato eterno e che ritornerà. Questa visione corrisponde un po' alla concezione che hanno i cristiani rispetto al Messia. Tornerà durante il giudizio universale e nel frattempo è rappresentato da altri religiosi.
In ogni caso però, la religiosità si è sviluppata diversamente nei vari paesi.

L'Iran è l'unico Stato sciita, come accennavamo prima, ma in questo Paese si è sviluppato il credo secondo cui ogni fedele si sceglie la propria guida spirituale. Se una di queste guide spirituali ha molti fedeli viene chiamata Ayatollah.
Fatto un po’ di ordine sulle questioni politico-religiose, possiamo tornare alla F1? Mi sembra un po’ difficile. Comunque tranquilli, Bernie ha già pronto il Piano B; un GP in Europa. Ma è deluso, ci sperava tanto. Tutti quei petroldollari che se vanno così, come fossero fumo che sale dalle barricate di chi protesta.
Altro sangue per il petrolio. Potete accendere i motori.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!