mercoledì 29 luglio 2009

Un anno e tre mesi di prigione per Leyla Zana

La corte di Diyarbakir ha condanato la ex deputata Leyla Zana per "propaganda organizzativa"

Martedi la corte a Diyarbakir ha condannato la ex deputata kurda Leyla Zana a un anno e tre mesi di prigione presumibilmente per aver diffuso propaganda a favore del PKK in un discorso tenuto in un seminario all' università di Londra il 24 maggio 2008.


Nel suo discorso lei aveva equiparato l'importanza del Pkk e il suo leader incarceratoper il popolo kurdo come all'importanza che il cuore e il cervello hanno per gli umani. Loro hanno creato una nuova vita per il popolo kurdo, cosi che la gente che usava vergognarsi della propria esistenza ha acquistato uno spirito di libertà e di resistenza.



L'ex deputata al Parlamento per il Partito per la democrazia (DEP) era accusata in base all'articolo 7/2 della legge antiterrorismo e il procuratore ha chiesto 5 anni di carcere.


La polizia ha monitorato le registrazioni sul canale satellitale ROJ TV e aveva presentato una denuncia penale contro di lei.



La precedente lunga prigionia


Nel 1994, Zana e altri politici kurdi erano stati arrestati per avere utilizzato il kurdo durante la cerimonia di giuramento. Loro sono stati incarcerati per 15 anni e rilasciati nel 2004. I sostenitori di Zana in Turchia e in Francia avevano organizzato campagne dopo che lei era stata condannata a 10 anni di prigione lo scorso anno per i discorsi che aveva tenuto. Il caso e' attualmente alla suprema corte di appello. La campagna in Turchia ha chiesto alla suprema corte di rovesciare la sentenza e di sollevare gli ostacoli legali alla libertà di espressione. In Francia una campagna partita il 10 febbraio è stata firmata da diversi intellettuali. Nel rapporto del Comitato Affari Esteri del Parlamento Europeo sono citati i problemi della libertà di espressione, e il caso alla corte di Leyla Zana per effetto della legge 301. L'Ue aveva assegnato a Leyla Zana il premio Sakarow nel 1995

martedì 28 luglio 2009

La Rete e lo Stato


di Gloria Muñoz Ramírez

Furono mesi di viaggi ed accumulo di sofferenze e resistenze. Mesi nei quali, in precarie condizioni, si svolse il viaggio dell'Altra Campagna in tutto il territorio dimenticato del Messico. Con modeste apparecchiature audio e video si raccolsero e registrarono storie e si assunsero impegni. Giovani, in maggioranza provenienti da esperienze autonome, comunitarie e libertarie, cominciarono a lavorare, ancora senza proporselo, in quello che poi sarebbe diventata la Red de Medios Libres Abajo y a la Izquierda (Rete dei Media Liberi in Basso e a Sinistra).
Fu nel 2007, durante il passaggio della delegazione dell'EZLN per il nord del paese, quando Regeneración Radio ed il Frente Popular Francisco Villa Independiente-UNOPII "cominciarono a lavorare all'idea di poter costruire media liberi che accompagnassero i processi organizzativi nel luogo in cui si costruivano", a partire dalla premessa che "sono sempre pochi che decidono che cosa si trasmette e come, non sono mai i popoli".
Durante questi due anni il lavoro della Rete si è definito in due campi: l'elaborazione di laboratori sui media ed il lavoro politico ed organizzativo. Hanno realizzato campagne nazionali unitarie, scambiato materiali ed organizzate coperture.
Di fronte all'aperta criminalizzazione dei movimenti sociali, la Rete si propone di creare i meccanismi per rispondere alla repressione basandosi sull'informazione diffusa. "Pensiamo - si dice nel documento di invito - che una lotta si rafforza quando ha la capacità di diffondere le sue problematiche ed istanze, e la sicurezza che i suoi compagni, nonostante la distanza, sapranno sempre quello che sta succedendo loro e cercheranno il modo di solidarizzare.
Fin dalla sua nascita la Red de Medios Libres si è dichiarata autonoma criticando "le leggi che impediscono ogni possibilità al nostro popolo di creare propri media". Non chiedono niente allo Stato. Non hanno bisogno del permesso per trasmettere, dipingere, scrivere, stampare, fotografare e realizzare graffiti. L'obiettivo è costruire autonomia e rafforzare il movimento sociale che lotta contro il capitalismo. Per questo e molto altro si riuniscono questo fine settimana nella città di Oaxaca in un incontro al quale sono invitati i media liberi che "lavorano quotidianamente nella creazione di nuovi canali e forme di comunicazione indipendenti da partiti politici, organizzazioni non governative ed associazioni civili che, in maniera interessata, cercano concessioni, permessi e finanziamenti".
La Rete è chiara nel suo rifiuto "dello Stato come spazio di mediazione tra i nostri desideri e la necessità di comunicazione". Non è il momento di concessioni, ma del lavoro congiunto ed organizzato.

(Traduzione "Maribel" - Bergamo http://chiapasbg.wordpress.com/)

Tratto da:
La Jornada

Via gli eserciti di occupazione dall'Afghanistan

Nè per soldi né per prestigio

Il dibattito accesso da Bossi&Calderoli sui perchè rimanere e sui per cosa stare in Afganistan permette alcune riflessioni nel merito.
La prima. In Afganistan si sta perdendo la guerra, o meglio: la si era già persa con la gestione precedente dei massacri dal cielo (i.e. Predator + il texano bombing da 15.000 di altezza) e la si sta perdendo anche ora con i marines, i rangers, i folgorati semi-impantanati in un territorio che è troppo difficile e del tutto refrattario ai codici dell'Occidente occupante.
Lo è perchè trent'anni di guerra non obbligano alla pace se essa è scritta con il linguaggio e gli istituti dell'Occupante, se essa non veicola benessere distribuito, ma cluster di nuovi poteri e sfruttamenti e se il nuovo punto di equilibrio tra questi (i.e. la risultante del processo elettorale a la occidentale) si deve ancora trovare.
Non c'è e non ci sarà pace in Afganistan, purtropo per i civili che, frequentemente, sono gli obbiettivi dei combattimenti nelle guerre contemporanee.
La roadmap 2.0 di Obama è, alla fine della fiera, un altro modo per fare (e rilanciare) la guerra in attesa di una exit strategy che deve ancora arrivare e che incombe sotto il peso di un costo enorme, non più mantenibile unilateralmente, e dell'assenza di un mercato potenziale di beni e clienti che, a differenza della Mesopotamia, qua non c'è.
Il cui prodest della Lega trova nei 500 milioni di fattura di guerra italiana le ragioni dei dubbi e, d'altro canto, chiunque osservi il contesto non troverà nessun avanzamento concreto.
La replica di Frattini è del tutto esauriente: stiamo e staremo in quell'inferno per “prestigio internazionale”, un po' come se l'Afganistan fosse una Crimea del bonapartismo della corte Berlusconi.
Non c'è invece nessuna scusa per occupare qui territori, ci sono, invece, molti, moltissimi motivi per aprirvi ospedali, progetti non governativi – e not embedded- di cooperazione, di sostegno ad un altro sviluppo, di una diplomazia dal basso che ci permetta di comprendere quei territori bel aldilà di quanto ci permettano di fare i report degli inviati RAI.
Via gli eserciti di occupazione, fuori la guerra dall'Afganistan, dunque, e fuori l'Europa dalla guerra. Queste sono le uniche parole di buonsenso.

Striscia di Gaza, aggressioni continue dell'artiglieria e della marina israeliane.



Questa mattina, diversi carrarmati e veicoli militari israeliani sono penetrati ad est del "cimitero dei martiri", a Gaza City, mentre questa notte la marina ha continuato mitragliare i pescherecci ormeggiati sulla costa.
Un testimone ha riferito che più di 15 carrarmati, bulldozer e jeep di tipo Hummers sono usciti dalla postazione militare di "Nahel Oz", a est di Gaza, e si sono diretti verso nord appostandosi nei pressi del "cimitero dei martiri". Egli ha aggiunto che di fronte a un tale spiegamento di forze, gli agricoltori sono stati costretti a abbandonare i campi per timore di essere bombardardati.
Secondo fonti palestinesi, la marina militare ha sparato tutta la notte contro i pescherecci palestinesi nel mare di Gaza. Non ci sono informazioni di feriti.
Nella nottata è stata udita una grande esplosione ad est della città di Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza, ma non si hanno notizie sulle cause e sugli eventuali effetti.
da Infopal

Honduras: corrispondenza dalla frontiera di Los Manos (El Paraiso)

Voci dal basso... Francesca e Oscar

27 / 7 / 2009
"Ciao, qui in Honduras la situazione si fa sempre più critica, gli abusi di diritti umani continuano a peggiorare sempre di più, la gente e' stanca ma determinata a vincere, sempre piu' persone si muovono verso la frontiera, nonostante gli 11 blocchi di polizia, il coprifuoco e stato d'assedio indetto fino alle 18:00 (30 ore totali da ieri). L'obiettivo non è Mel Zelaya ma la democrazia, i diritti umani e la giustizia. Mi è appena arrivata la notizia che un ragazzo, arrestato ieri dalla polizia fascista del regime dittatoriale di Micheletti, è stato ritrovato morto nella montagna vicino alla frontiera di Las Manos con segni di torture. Aiutate a fare pressione alla comunità internazionale, questo non può andare avanti. Ciao, Francesca"

Con queste poche parole Francesca, italiana, da tre anni in Honduras, ci comunica della gravissima situazione che in queste ore vive il paese. Ci chiede di far circolare le notizie, di attivare tutte le nostre risorse per sostenere il popolo honduregno nella difesa della democrazia. Ci manda inoltre una testimonianza dalla frontiera di Los Manos che pubblichiamo di seguito.

26° giorno, 24 luglio 2009
Oggi alle 0:29
Veniamo dal confine de Los Manos nel dipartimento di El Paraíso, Manuel Zelaya ha brevemente attraversato il confine e ha dimostrato che l'esercito non osa arrestarlo, ma lui non ha osato andare al di là a pochi metri. Diverse persone mi hanno spiegato che per passare è necessario che una decina di migliaia di persone siano con lui. Dubito che lo potrà fare, l'intero sforzo di questo governo è per impedirlo. Il movimento in questa zona è sorprendente, centinaia di persone cercano di raggiungere la frontiera e un uguale numero di soldati cercano di fermarli. Ameno dieci militari di controllo quasi ogni veicolo, fanno scendere dai bus i loro occupanti e poi li costringono a camminare. Se vogliono andare che camminino a piedi, dicono funzionari tra sorriso e battuta. La gente sa chi ha le armi e cammina. Il coprifuoco ci ha preso ieri alle sei del pomeriggio nella zona, alle sei della mattina ci uniamo alla carovana che stava cercando di arrivare fino a Los Manos, a mezzogiorno, cercando di disperdere i manifestanti, il governo ha dichiarato di nuovo il coprifuoco, dalle dodici fino alle sei della mattina successiva. Alla fine hanno esteso il coprifuoco per tutta la giornata di domani. Le auto della polizia corrono nelle strade vuote e ordinano agli abitanti della zona di chiudersi nelle loro case o saranno arrestati, ho potuto vedere come una giovane madre corse a rifugiarsi nella sua casa al sentire l’arrivo di una pattuglia della polizia. Cercando di andare al confine abbiamo visto come la polizia ha arrestato una ventina di persone che cercavano di arrivare a Los Manos attraversando le montagne, li tenevano sotto la pioggia fino a che noi ci identifichiamo come stampa internazionale (andavamo veramente con veri corrispondenti internazionali). Solo allora si sono resi disponibili per metterli sotto un tetto. Abbiamo denunciato il caso e si sono fatte vive nel luogo organizzazioni per i diritti umani, presentando habeas corpus. Circa duemila persone si sono scontrate con le forze di polizia e l'esercito al posto di controllo che hanno alzato a circa 8 chilometri dal confine, di tre volte, la prima è stata la più violenta. La polizia ha sparato sui dimostranti, lasciando un saldo di almeno 2 feriti, uno ha perso un orecchio con un colpo. Le persone ugualmente non si sono disperse e in queste ore della notte sono ancora nel checkpoint. Venti miglia più tardi, all’altezza della città di Danlí sta un altro importante checkpoint dove circa duemila persone hanno accompagnato la famiglia del presidente Zelaya, alle quali è stato poi impedito il passaggio. Sono pronte per iniziare a camminare domani. A Tegucigalpa, un altro gruppo di manifestanti si appresta a passare la notte, di fronte agli impianti di Radio Globo, dopo la minaccia di chiusura da parte delle autorità. Allo stesso modo è tenuta l'ambasciata del Venezuela davanti alla minaccia di attacchi da parte della Procura. Sembra che il fine settimana sarà faticoso, ma pieno di speranza. Nell’andare a Tegucigalpa abbiamo incontrato un gruppo di circa un centinaio di persone che camminavano sotto il buio della notte, con la ferma intenzione di aggiungersi alla marcia. Avevano camminato già per circa settanta miglia, e circa quindici ne mancavano per raggiungere il primo checkpoint. E 'certo che l'esercito non li lascerà passare, è anche certo però che loro non si lasceranno arrestare.
NO PASARAN!
Oscar Estrada Manifestante

Per informazioni in diretta:
http://www.telesurtv.net/
http://www.radioglobohonduras.com/
http://www.radioprogresohn.net/
Altre informazioni su:
http://www.honduraslaboral.org/
http://www.todosconhonduras.cult.cu/index.php?cont=noticias&lang=1&declara=9
http://www.puchica.org/
http://hablahonduras.com/

Día Veintiseis, 24 de julio de 2009
Hoy a las 0:29
Venimos de la frontera de Las Manos en el departamento de El Paraíso, Manuel Zelaya cruzó brevemente la frontera y demostró que el ejército no se atreve a arrestarlo, aunque él tampoco se atrevió a pasar más allá de un par de metros. Varias personas me explicaron que para poder pasar necesita unas diez mil personas con él. Dudo que lo logre, todo el esfuerzo de este gobierno están puestos en impedirlo.El movimiento que hay en esa zona es impresionante, cientos de personas tratan de llegar hasta la frontera e igual número de militares tratan de impedirlo. Por lo menos diez retenes militares detienen prácticamente cada vehículo, bajan de los buses a sus ocupantes para luego obligarlos a caminar. Si quieren llegar, que caminen, dicen los oficiales entre sonrisa y burla. El pueblo sabe quien tiene las armas y camina.El toque de queda nos agarró ayer a las seis de la tarde en la zona, a las seis de la mañana nos sumarnos a la caravana que buscaba llegas hasta las manos, a medio día intentando dispersar a los manifestantes, el gobierno volvió a declarar el toque de queda desde las doce del día hasta las seis de la mañana siguiente. Finalmente han extendido el toque de queda para todo el día de mañana. Los carros policías corren las calles vacías ordenando a los habitantes de la zona que se guarden en sus casas o serán arrestados, pude ver como una joven madre corría para refugiarse en su casa al escuchar llegar una patrulla policial.Al volver de la frontera vimos como la policía había detenido unas veinte personas que trataban de llegar a Las Manos atravesado las montañas, los tenía bajo la lluvia y fue hasta que nos identificamos como prensa internacional (andaba con verdaderos corresponsales internacionales) que dispusieron guardar a los prisioneros bajo techo. Denunciamos el caso y organismos de derechos humanos se hicieron presentes en el lugar presentando habeas corpus. Unas dos mil personas se confrontaron con la policía y el ejército en el retén que tienen levantado a unos 8 kilómetros de la frontera, de las tres veces, la primera fue la más violenta. La policía disparó contra los manifestantes y dejó un saldo de por lo menos 2 heridos, uno de ellos que perdió una oreja de un disparo. El pueblo igual no se dispersó y a estas horas de la noche aun permanecen en el reten. Unos veinte kilómetros más adelante, a la altura de la ciudad de Danlí, está otro gran reten militar en donde unas dos mil personas acompañan a la familia del Presidente Zelaya, luego que les fue impedido el paso. Están dispuestos a comenzar a caminar al llegar la mañana.En Tegucigalpa otro grupo de manifestantes se presta a pasar la noche frente a las instalaciones de Radio Globo luego de la amenaza de cierre por parte de las autoridades. De igual manera es guardada la embajada de Venezuela ante la amenaza de allanamiento por parte de la Fiscalía. Parece que el fin de semana será agotador, pero lleno de esperanza. A volver a Tegucigalpa encontramos un grupo de unas cien personas que caminaban bajo la oscuridad de la noche con el firme propósito de sumarse a la marcha. Llevaban avanzados unos setenta kilómetros, les faltaban unos quince más para llegar hasta el primer reten. Es seguro que el ejército no los dejará pasar, es seguro también que ellos no se dejarán detener.
¡NO PASARAN!
Oscar Estrada
Manifestante

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!