venerdì 1 gennaio 2010

Pensiero di fine anno dalla Danimarca

Lettera da Cop.enhagen di Luca Tornatore e degli altri attivisti ancora trattenuti nelle carceri danesi dalle giornate del Cop15



C'è del marcio (non solo) in Danimarca. E' un fatto assodato che migliaia di persone siano state considerate, senza alcuna prova, una minaccia per la società. Centinaia di queste sono state arrestate e alcune rimangono tuttora detenute, in attesa di giudizio o sotto inchiesta. Tra loro anche noi, i firmatari di questa lettera.Vorremmo raccontarvi la storia dal peculiare punto di vista di chi ancora vede il cielo attraverso le sbarre. Una riunione ONU di importanza cruciale è fallita a causa delle molte contraddizioni e delle tensioni emerse durante COP15. La maggiore preoccupazione dei potenti è stata la gestione del rifornimento energetico nella prospettiva di una crescita infinita. Così è accaduto, sia nel caso dei paesi sovra-sviluppati, come quelli dell'Unione Europea o gli U.S.A., sia nel caso dei cosiddetti paesi in via di sviluppo come la Cina o il Brasile. Al contrario, centinaia di delegati e migliaia di persone nelle strade hanno sottolineato quanto la logica della vita debba essere (ed in effetti è) opposta a quella del profitto. Noi abbiamo affermato con forza la nostra volontà di porre un freno alla pressione antropica sulla biosfera. Una crisi del paradigma energetico è dietro l'angolo. Il meccanismo della governance globale si è rivelato decisamente precario. I potenti hanno fallito due volte. La prima nel raggiungere un accordo di equilibrio interno. La seconda nel mantenere un controllo formale della discussione.Il cambiamento climatico è l'estrema e definitiva espressione della violenza del paradigma della crescita capitalista. In tutto il mondo molte persone stanno esprimendo, con forza sempre maggiore, la loro volontà di ribellarsi contro questa violenza. Lo abbiamo visto in Copenaghen e assieme abbiamo visto la stessa violenza di cui sopra. Centinaia di persone sono state arrestate senza alcuna ragione e senza prove, magari per aver partecipato a manifestazioni pacifiche e legittime. Persino semplici esempi di disobbedienza civile sono stati considerati come una seria minaccia all'ordine sociale. In risposta noi chiediamo: Quale ordine minacciamo e chi lo ha costruito? Si tratta di quell'ordine in cui non siamo più padroni dei nostri corpi? Un ordine ben oltre i termini di ogni ragionevole “contratto sociale” che saremmo disposti a firmare, dove i nostri corpi possono essere presi, governati, costretti e imprigionati senza alcuna prova certa di crimine. Si tratta di quell'ordine in cui le decisioni sono sempre più protette da ogni conflitto sociale? Dove la governance appartiene sempre meno alle persone, nemmeno attraverso il parlamento? In verità, a governare al di sopra di ogni controllo sono organismi non democratici come il WTO, il FMI e i vari G8, G22, G2, ecc. Siamo costretti a notare come il teatro della democrazia crolli non appena ci si avvicini al cuore del potere.Ecco perché pretendiamo che il potere ritorni alle persone. Vogliamo il potere di decidere delle nostre vite. Soprattutto, vogliamo il potere di contrapporre la logica della vita e dei commons a quella del profitto. Forse tutto ciò è stato dichiarato illegale, ma noi continuiamo a considerarlo pienamente legittimo. Visto che nel teatro crollato non rimane alcuno spazio reale, abbiamo costruito la nostra forza collettiva per prendere posizione sulla questione climatica ed energetica. Questione che, secondo noi, comprende nodi critici di giustizia globale, sopravvivenza del genere umano e indipendenza energetica. Lo abbiamo fatto scendendo in strada con i nostri corpi.Noi preferiamo entrare nello spazio chiuso del potere ballando e cantando. Avremmo voluto farlo al Bella Center, per disturbare la sessione assieme a centinaia di delegati. Ma siamo stati, come sempre, violentemente ostacolati dalla polizia. Hanno arrestato i nostri corpi nel tentativo di arrestare le nostre idee. Abbiamo messo a rischio i nostri corpi, tentando di proteggerli solo stringendoci uno all'altro. Noi diamo valore ai nostri corpi: ci servono per fare l'amore, per stare assieme e per goderci la vita. Essi contengono i nostri cervelli, con idee e visioni brillanti. Contengono i nostri cuori pieni di passione e di gioia. Ad ogni modo li abbiamo sottoposti al rischio di finire rinchiusi in prigione. Ma quale sarebbe il valore dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti se i nostri corpi non si muovessero? Non fare nulla, “lasciare che accada”, sarebbe la peggiore forma di complicità con il business che ha voluto sabotare il meeting delle Nazioni Unite. Ci siamo mossi al COP 15 e continueremo a farlo.

Proprio come l'amore, la disobbedienza civile non può essere raccontata. Dobbiamo farla con i nostri corpi. Altrimenti non penseremmo davvero a quello che amiamo e non ameremmo davvero quello che pensiamo. E' così semplice. E' una questione di amore, giustizia e dignità.

Il modo in cui si è concluso il COP15 prova che avevamo ragione. Molti di noi stanno pagando ciò che è inevitabile per una repressione ossessiva, totale e pervasiva: la necessità di trovare un colpevole ad ogni costo o di inventarselo (magari assieme al crimine). Siamo detenuti con accuse evidentemente assurde che riguardano violenze mai avvenute, cospirazioni e organizzazione di azioni contro la legge.

Non ci sentiamo colpevoli per avere espresso, in migliaia, la pretesa dell'indipendenza delle nostre vite dal diktat del profitto. Se le leggi si oppongono a questo, allora è stato legittimo violarle pacificamente (seppur con determinazione). Siamo solo temporaneamente trattenuti, pronti a navigare ancora con un vento più forte che mai. E' una questione di amore, giustizia e dignità.

Luca Tornatore

Natasha Verco - Climate Justice Action
Johannes Paul Schul Meyer
Arvip Peschel
Christian Becker
Kharlanchuck Dzmitry
Cristoph Lang
Anthony Arrabal

Gaza Freedom March - Cairo - Cariche e violenze della polizia egiziana contro gli attivisti

31 dicembre - Dieci feriti tra cui due italiani, gli attivisti resistono


Centinaia di partecipanti alla Gaza Freedom March, dopo i ripetuti divieti delle autorità egiziane, si sono concentarti nella piazza del Museo nazionale, per dare vita ad una marcia ricordando l'assedio di Gaza e protestando contro il governo egiziano per il clima repressivo e di assoluta chiusura dimostrato contro l'iniziativa della Gaza Freedom March.

Oggi infatti la Gaza Freedom March avrebbe dovuto manifestare nella Striscia con la popolazione civile palestinese per la fine dell'assedio.

Appena il corteo si è messo in movimento gli attivisti sono stati attaccati dalla polizia, che ha violentemente cercato di allontanarli dalla strada

Alcuni attivisti sono stati feriti durante le cariche tra cui anche due italiani. Gli agenti hanno preso di peso le persone e le hanno spintonate sul marciapiede circondandoli.

Nonostante il tentativo repressivo da parte della polizia, i manifestanti sono determinati nel proseguire la manifestazione, come i promotori avevano pubblicamente annunciato alla presentazione del programma delle iniziative.

Gli attivisti, circondati dalla polizia, hanno continuato a fare slogans, a esporre cartelli e striscioni per rendersi ben visibili nel cuore della città.

Il presidio è continuato fino a tardo pomeriggio.

Intanto è arrivata la notizia della manifestazione che si è svolta in mattinata al valico di Erez nella parte isrealiana mentre all'interno di Gaza Hamas ha monopolizzato le proteste a tal punto che diverse organizzazioni della società civile palesinese non vi hanno partecipato.

Farcela da soli

Il movimento dei lavoratori in Cina (2007-2008)

di China Labour Bullettin

A inizio novembre 2008 insegnanti di scuole elementari e medie della zona rurale di Chongqing, frustrati nel non vedersi consegnare gli stipendi, hanno organizzato una serie di scioperi in tutta la regione. In risposta le autorità locali hanno fatto qualcosa che solo pochi anni prima sarebbe stato impensabile: accettare di incontrare i rappresentanti degli insegnanti per risolvere di comune accordo la disputa.
Nel 2007 e 2008 ovunque in Cina le autorità sono state forzate a sedersi al tavolo delle negoziazioni non solo in contrasti con impiegati pubblici, ma sempre di più anche in dispute nel settore privato. Gli operai cinesi, oppressi dall’ aumento dei prezzi e dalla disoccupazione, irritati da abusi manageriali e incoraggiati da una revisionata legislazione sul lavoro, hanno protestato in tutto il Paese richiedendo l’intervento governativo. nella maggior parte dei casi, hanno avuto successo. In quasi tutte queste proteste pero’, la Federazione dei Sindacati di Tutta la Cina (ACFTU), l’unico sindacato ufficialmente riconosciuto, è stato assente.
La preoccupante divergenza tra le proteste collettive organizzate dagli operai e le attività dell’ACFTU che dovrebbero essere in difesa dei loro diritti è tema di questo rapporto.
Gli sviluppi socio-economici e legislativi, 2007-08
Il background economico e legislativo del periodo analizzato è fondamentale per la comprensione degli sviluppi del movimento operaio nel 2007 e 2008.
  • Dopo una crescita a due cifre durata una decina d’anni, la rapida espansione economica della Cina ha cominciato a rallentare alla fine della seconda metà del 2008. La disoccupazione è aumentata notevolmente durante il bienno 2007-2008; un gran numero di piccole e medie imprese, colpite dai costi elevati di materie prime e dall’aumento del valore della moneta, ridussero la produzione e licenziarono personale, tra cui soprattutto operai immigrati dalle campagne. Il tasso di inflazione raggiunse il 4,8 per cento nel 2007, il valore più elevato degli ultimi dieci anni che portò i prezzi dei generi alimentari alle stelle. Crescendo il costo della vita, numerosi governi locali aumentarono il salario minimo, tanto che i redditi disponibili sia delle famiglie rurali che di quelle cittadine sono cresciuti fino a fine 2008. La crisi economica mondiale, tuttavia, ha frenato questo corso tanto che il divario tra ricchi e poveri in Cina nel 2008 è continuato a crescere.
  • In seguito a scandali e incidenti sul lavoro esemplificativi degli abusi e dello sfruttamento subiti dagli operai, la legislazione cinese promulgò tre nuove leggi sul lavoro, che hanno fatto del 2007 un anno cruciale per lo sviluppo della legislazione sul lavoro in Cina:
  1. Legge sui Contratti di Lavoro, finalizzata a ridurre il numero di lavoratori immigrati impiegati senza contratto.
  2. Legge sulla Promozione dell’Impiego, con lo scopo di creare un mercato del lavoro più aperto e corretto e combattere la discriminazione nell’impiego.
  3. Legge sulla Mediazione e la Giurisdizione Arbitrale, designata per razionalizzare e velocizzare i processi arbitrali e di mediazione.
Questa ondata di riforme senza precedenti, nella legislazione sul lavoro nel periodo preso in considerazione è stata la risposta diretta alle pressioni esercitate dal movimento operaio nei dieci anni precedenti. Un governo devoto al mantenimento dell’ordine e dell’armonia sociale non poteva più permettersi di ignorare a lungo scioperi e proteste giornalieri. La più comprensiva cornice legislativa, che il governo centrale e quelli locali hanno cercato di creare, ha reso gli operai più consapevoli dei loro diritti e disposti ad usare la contrattazione e i tribunali come strumenti di lotta.
Nonostante questi sforzi, le percezioni sulla qualità della vita tra la popolazione rurale e urbana non sono migliorate, come rivelato dall’ “indice di soddisfazione” cinese e segnalato dall’elevato numero dei cosiddetti “incidenti di massa”.
Le proteste operaie
L’analisi di 100 proteste collettive di lavoratori che hanno avuto luogo nel 2007 e 2008 ci offre un’immagine rappresentativa del movimento operaio in questo periodo, caratterizzato da operai sempre meno propensi a soffrire, bensì disposti a difendere in prima persona i propri interessi:
Come principali cause delle dispute sono state identificate: la discriminazione istituzionalizzata e diffusa dei migranti rurali, fondata sul sistema di registrazione della cittadinanza (hukou); condizioni lavorative insicure e lavoro straordinario a bassa remunerazione (58 su 100 casi); chiare violazioni di diritti umani (es. non pagamento dei salari o dei contributi assicurativi, 1/3 dei casi); specifiche richieste (1/3 dei casi); difficoltà economiche (12 casi).
Il fatto che proteste operaie vennero organizzate giornalmente anche nei periodi di boom economico è indicativo della condizione di sfruttamento abituale che gli operai, soprattutto quelli immigrati dalle zone rurali, subiscono abitualmente. Violazioni deliberate dei diritti dei lavoratori da parte dell’amministrazione aziendale hanno rappresentato la causa maggiore delle proteste collettive del periodo 2007-2008.
Le richieste degli operai sono state soprattutto: innalzamento di salari e dei contributi pensionistici; miglioramento del trattamento dei lavoratori in seguito alla ristrutturazione di aziende statali; riduzione degli orari e dei carichi lavorativi; diritto di formare un loro proprio sindacato o di eleggere democraticamente i comparti distaccati dell’ACFTU a livello aziendale; investigazioni per corruzione e peculato da parte dell’amministrazione di aziende.
Gli operai non si sono limitati a richiedere ricompense in seguito a violazioni subite, bensì hanno portato avanti pretese più ambiziose, indicative di una nuova e consapevole presa di posizione. In 37 proteste gli operai hanno parzialmente ottenuto ciò che richiedevano; in soli tre casi le loro richieste sono state ignorate.
Tra i fattori scatenanti i diverbi si segnalano: tattiche manageriali delle aziende per sopravvivere alla crisi economica (es. taglio dei salari, licenziamenti e dimissioni forzate, 14 casi); mancanza di sindacati genuini e di un meccanismo di soluzione delle controversie interno all’impresa, che lascia spazio a decisioni arbitrarie da parte dell’azienda (sette casi); tecniche usate da imprenditori nel tentativo di evadere i nuovi regolamenti previsti dalla Legge sui Contratti Lavorativi (11 casi); azioni intraprese in stabilimenti sussidiari o aziende vicine; ristrutturazione delle aziende di proprietà statale (21 casi).
Le azioni intraprese si possono suddividere nei seguenti tipi: scioperi (47), assedi (43), scioperi bianchi e cortei (18), petizioni collettive (21), danneggiamenti intenzionali a fabbriche (5).
Poichè le proteste sono percepite dallo stato come minaccia alla stabilità sociale, gran parte delle risposte governative ad esse sono state una combinazione di misure conciliatorie e minacciose, volte a riportare nel più breve tempo possibile la situazione sociale allo stato “armonioso”. La polizia locale è intervenuta in 61 casi, dove spesso ha causato ulteriore violenza e tensione (19 casi con feriti). Molti scioperanti sono stati puniti dalle autorità con sanzioni pecuniarie e penali per “disturbo dell’ordine pubblico”; sentenze alla rieducazione tramite il lavoro (RTL) sono state imposte a numerosi attivisti per i diritti operai (Li Guohong, Zeng Jianyu, Li Shuchun), operai hanno subito intimidazioni e violenze. Ufficiali del governo hanno mediato e condotto direttamente le negoziazioni tra operai ed amministrazione di fabbrica (47 casi).
L’ACFTU è rimasta nel complesso obbediente ai governi locali e non ha svolto alcun ruolo attivo nel confronto tra rappresentanti dei lavoratori e amministrazioni di fabbrica, dando quindi l’impressione di non essere disposta a combattere per gli interessi degli operai contribuendo così all’insorgere di ulteriori tumulti. L’ACFTU intervenne a violazione dei diritti già avvenuta reagendo a queste con stupore e rabbia, senza però concretamente punire i colpevoli o risarcire le vittime; in solo quattro casi l’ACFTU ha mostrato un atteggiamento più combattivo.
La Federazione dei Sindacati di Tutta la Cina
Alla fine del 2008 la Federazione dei Sindacati di Tutta la Cina contava 212 milioni di membri tra cui 70 milioni di operai immigrati. Il processo di riorganizzazione e di sindacalizzazione perseguito dall’ACFTU nel periodo analizzato insieme alla professionalizzazion-e degli ufficiali dei sindacati reclutati nel servizio pubblico e non aventi alcun legame con i dirigenti d’azienda, non hanno però migliorato la capacita dell’ ACFTU di rappresentare gli interessi degli operai.
L’ACFTU promulgò nuovi regolamenti, ma questi rifletterono chiaramente il rapporto di dipendenza dei sindacati dalla leadership del partito, che è in ultima istanza sempre chiamata ad approvare le decisioni dei sindacati. L’integrazione dell’ACFTU nell’apparato del Partito durante gli ultimi 20 anni si é solidificata ulteriormente nel biennio 2007-2008 in segutio all’adozione del cosiddetto approccio delle “5 sfaccettature unificate” per la protezione dei diritti dei lavoratori, che poggia sulla superiorità delle decisioni prese dalla leadership di partito nello svolgimento delle funzioni svolte dall’ACFTU.
La conclusione di un numero elevato di contratti collettivi, promossa dall’ACFTU dagli anni ’90, non ha altresì corrisposto ad una altrettanto elevata qualità delle negoziazioni, le quali difficilmente hanno visto l’implementazione degli accordi raggiunti tra imprese e sindacati. Gli operai furono raramente consultati in queste negoziazioni.
L’ACFTU ha infine offerto misure aggiuntive a protezione dei diritti dei lavoratori, le quali hanno contribuito a migliorare la condizione di vita degli operai. Tuttavia l’approccio caritatevole dell’ACFTU è lontano dall’essere in grado di migliorare i rapporti tra operai e datori di lavoro e di prevenire le dispute.
Nonostante l’ACFTU sia il sindacato più grande al mondo e sotto il patronato del governo, esso e’ paradossalmente anche il più inutile per la difesa dei diritti dei lavoratori cinesi, in quanto sindacato nominale (che raramente consulta gli operai, non risolvendo la mancanza di rappresentanze sindacali effettive e democratiche) dipendente dai governi locali (ai quali si rivolge per aiuti economici) e sottomesso al Partito Comunista Cinese. L’ACFTU è talmente dipendente dal Partito, che non è nemmeno in grado di formulare la sua missione in una maniera più decente rispetto al sottolineare le differenze tra sindacati cinesi e socialisti e quelli degli altri Paesi, eludendo la caratteristica principale dei sindacati, vale a dire la difesa dei diritti dei lavoratori.
Riassumendo, il movimento operaio degli anni 2007-2008, che ha visto il numero delle proteste essere 50 volte superiore a quello del 2005, è stato caratterizzato da:
  • l’allargamento delle richieste degli operai da legali e specifiche a collettive, incentrate non più solo sulla difesa di diritti, ma soprattutto sulla difesa di interessi collettivi
  • l’intervento mediatore diretto del governo all’interno delle dispute
  • l’ allontanamento tra azione degli operai, mirata alla difesa di interessi economici e diritti legali, e azione prettamente politica dell’ACFTU, mirata a salvaguardare la stabilità sociale.
Commento di China Labour Bulletin
Nel 2007-2008 le autorità acquisirono un atteggiamento più conciliatorio nei confronti degli operai, mostrando segni di voler facilitare il dialogo tra operai e datori di lavoro, ma il loro tradizionale approccio con interventi ad hoc nelle situazioni di conflitto sociale non sono adatti per andare incontro agli interessi economici degli operai. I media e le discussioni su internet sono controllate dal governo; i lavoratori non hanno nè il diritto di organizzarsi in sindacati, nè quello di scioperare. L’Ufficio di Pubblica Sicurezza di solito rifiuta richieste di manifestazioni pubbliche e il sistema di “consultazioni collettive” del governo e dell’ACFTU esclude gli operai.
Le proteste operaie sono state dunque la risposta a queste inadeguatezze. Una genuina contrattazione collettiva in Cina sarà possibile solo quando agli operai verrà data la possibilità di partecipare ad essa, come è avvenuto in quattro casi studiati.
Inoltre CLB ritiene che il riavvicinamento tra operai e ACFTU sarebbe possibile se:
  • l’ ACFTU si schierasse dalla parte dei lavoratori durante le dispute, superasse la tradizionale avversione nei confronti di scioperi e altri tipi di attivismo e promuovesse la contrattazione collettiva come mezzo di risoluzione senza cercare scusanti per la sua inazione (es. la crisi economica globale)
  • il Partito e il governo permettessero all’ACFTU di rappresentare veramente gli interessi degli operai, accettando che le differenze di interessi tra lavoratori e datori di lavoro sono alla base delle economie orientate al mercato e che in queste il ruolo del governo si limita ad essere quello di arbitro neutrale nei conflitti aziendali.

L'ondata di scioperi

Verso una trasformazione delle politiche del lavoro

di Tian Lei

Da Foshan, Shenzhen, Huizhou nel Guangdong a Nanchino, Wuxi, Kunshan nel Jiangsu fino a Pechino, allo Shanxi, Henan, Hubei e altre province, nell’ultimo mese lo sciopero si è diffuso come una epidemia in tutte le grandi zone economiche cinesi. Nella fabbrica del mondo degli ultimi trent’anni, gli operai che hanno tranquillamente forgiato il miracolo dell’industria produttiva cinese stanno risvegliando la memoria dello sciopero, a lungo dimenticata, con modalità inedite.
“L’ondata degli scioperi indica che le politiche del lavoro correnti sono arrivate a un punto in cui non è possibile non cambiare”, dice il direttore del centro di studi sulle relazioni del lavoro dell’Universita’ del Popolo, Chang Kai.
Se il Governo non modificherà il modello di una crescita economica scambiata col sacrificio dei lavoratori, se non normerà le relazioni fra capitale e lavoro, allora la società cinese conoscerà problemi ancora più esplosivi. Ma le politiche del lavoro che hanno mantenuto la crescita dell’economia degli ultimi 30 anni, si potranno cambiare così facilmente?
Il risveglio degli operai
Rispetto agli scioperi degli anni ’90 generati per i licenziamenti delle fabbriche di Stato, in questa tornata di scioperi attuale, sono gli operai delle imprese private che sono diventati la forza principale. Le loro richieste non si concentrano sulla corruzione, sulla protesta verso la proprietà dell’impresa etc etc, ma sull’aumento salariale e la diminuzione degli straordinari. […]
Durante gli scioperi, governi locali e media hanno fatto molte inchieste sui salari degli operai, e i risultati complessivi hanno mostrato come nelle imprese del Delta del Fiume Azzuro e del Fiume delle Perle, lo stipendio di un comune operaio si aggira tra i 1000 e i 1500 RMB. Oggi che i costi di base della vita in tutto il paese per l’educazione, la sanità, l’abitazione sono aumentati, queste entrate così scarse minano la dignità, rompono le speranze di questi lavoratori di poter migliorare la propria vita.
Infatti, se facciamo un paragone con il lavoro globale, il guadagno di 6 giorni a settimana con una media di oltre 10 ore giornaliere, non supera nemmeno i 150 euro mensili, ovvero un costo del lavoro da paese povero, addirittura inferiore a molti paesi del terzo mondo.
A differenza di chi si è stupito per l’ondata degli scioperi degli operai, molti studiosi del settore si sono invece stupiti di come si possa sopportare un salario così basso, e di come negli ultimi decenni non ci siano stati miglioramenti né forti proteste.
Secondo Pun Ngai, professoressa del Dipartimento di Scienze sociali applicate del Politecnico di Hong Kong, che ha lavorato e fatto ricerca in una fabbrica elettronica di Shenzhen, negli ultimi 30 anni è mancata la conoscenza delle masse lavoratrici cinesi da parte del governo, degli studiosi, dei media e della stragrande maggioranza della popolazione. L’attenzione si è solo concentra sui loro spostamenti e mobilità, ma una volta entrati in fabbrica, delle condizioni di vita degli operai sembra non importi niente a nessuno.
I motivi per cui i lavoratori sopportano e non protestano sono semplici: “il segreto dietro alla stabilità della fabbrica del mondo sta nell’organizzazione del sistema dei contadini migranti e del sistema dei dormitori della forza lavoro”. Pun Ngai dice che il sistema hukou assicura il mantenimento della identità di contadini alla prima generazione di nonmingong; in questo modo il processo di riproduzione della forza lavoro si completa per lo più nella campagna. Da un lato lo Stato non è affatto disposto a fornire loro l’identità di classe operaia, dall'altro il capitale non deve assumersi tutti i costi della forza lavoro. E il sistema dei dormitori di ogni grande fabbrica fa sì che la classe dei nonmingong restino all’interno della fabbrica, riducendo lo sforzo dei servizi pubblici per il governo.
L’efficienza di questi due sistemi ha mantenuto la stabilità sociale, garantito che i contadini andassero a lavorare fuori dalla campagna nonostante la paga scarsa, facendo continui straordinari per guadagnare un po’ di più. Il loro obiettivo più grande era poter tornare in campagna, costruire una casa, allevare i figli, sperare che la generazione successiva a loro uscisse dalla campagna. Ma quando, con l’arrivo del nuovo secolo, i nati dopo l’80 e il ’90 sono diventati il corpo dei lavoratori industriali, essi si sono trovati immersi nei fenomeni della civiltà urbana portati dai grandi eventi tipo le Olimpiadi e l’Expo.
Per questa generazione, lasciare la campagna significa intraprendere una strada senza ritorno, fatta di lavoro, del non poter tornare in campagna e non poter restare in città. La prima generazione di contadini lavoratori sta in perenne movimento fra campagna e città, mantenendo la propria identità di contadino; la seconda generazione invece è cresciuta interamente nei rapporti di produzione capitalistici, non gli importa se lo Stato vuole o no conferirgli l’identità di lavoratori e una collocazione politica nella società: si è già trasformata in pura classe operaia industriale.
Infatti, nell’ondata degli scioperi, i giovani operai industriali rispetto ai loro padri sono molti di più, sono capaci di formulare richieste ai sindacati e prendere degli specialisti di diritto del lavoro per affrontare i negoziati. Nello sciopero della Honda a Nanhai, il direttore del centro di studi delle relazioni sul lavoro dell’Università del Popolo, Chang Kai, è stato chiamato dai rappresentanti dei lavoratori come consigliere di diritto del lavoro, partecipando a tutto il negoziato fra le due parti. […]
I danni delle politiche sul lavoro
Chang Kai è ritenuto da molti il rappresentante intellettuale che parla per i lavoratori; secondo lui l’ondata di scioperi emersa nel 2010 non è un fatto casuale, piuttosto rivela gli elementi problematici delle politiche cinesi sul lavoro.
“La contraddizione fra capitale e lavoro è quella principale nell’economia di mercato cinese. Se il governo non interverrà fondando una normativa di base sui rapporti fra capitale e lavoro ma continuerà a seguire queste politiche, la società cinese conoscerà problemi molto grandi”. Secondo Chang Kai negli ultimi dieci anni le controversie sul lavoro sono cresciute di circa il 30%, ben oltre la crescita del Pil, e questi sono dati raccolti dal ministero del lavoro; a guardare bene, le controversie che non sono rientrate nelle statistiche farebbero arrivare a una percentuale impressionante.
Secondo molti economisti, dal 1978 il capitale maggiore della Cina è stata ed è la vasta forza lavoro; proprio per questo sacrificare diritti e interessi dei lavoratori per lo sviluppo economico è una strada obbligata per un paese che si sta sviluppando nel percorso della modernizzazione. Le politiche del lavoro degli ultimi 30 anni hanno seguito questa linea di pensiero. La revisione della costituzione del 1982 ha eliminato il diritto di sciopero motivando tale decisione con il fatto che, in un sistema socialista, semplicemente non ci possono essere scioperi.
E’ seguita la trasformazione del sindacato. Anche se oggi il sistema del sindacato occupa ancora un posto politico alto, il suo presidente è infatti un membro del comitato politico centrale, tuttavia la base è diventata di fatto un “sindacato giallo”. Durante lo sciopero alla Honda a Nanhai all’inizio di Giugno, il sindacato locale ha fatto violenza contro gli operai e diviso lo sciopero, cosa che spiega bene il senso di “sindacato giallo”.
“la considerazione popolare dei sindacati e’ molto bassa, la loro capacità di difesa dei diritti debole, e ciò è il risultato necessario della configurazione istituzionale” [...]
La forza degli operai
Ancora per un lungo periodo in futuro, l’ondata degli scioperi sarà il problema maggiore per l’economia cinese.
Secondo Pun Ngai, di fronte a questa situazione problematica, la mediazione del diritto e il miglioramento della qualità della produzione, non sono il percorso risolutivo. “Bisogna tornare a riflettere sul modello di produzione capitalistico, cercare modelli ed esperienze nella pratica del socialismo del passato”. Pun Ngai dice che i paesi capitalisti occidentali hanno attraversato la fase della contraddizione fra capitale e lavoro senza una rivoluzione sociale perché le multinazionali hanno trasferito le imprese produttive di bassa qualità nei paesi del terzo mondo. Se guardiamo alla divisione internazionale de lavoro dalla Cina fino a oggi, sembra quasi che essa sia bloccata, senza spazio alcuno per ulteriori trasferimenti. Si può dire, dal punto di vista cinese, che per un lungo tempo ancora, non ci sarà modo di fare a meno di quegli operai della produzione dei settori di bassa qualità, e non si potrà sorvolare sopra al diritto di vivere di questa grande massa.
Nello sciopero della Honda di Nanhai, i lavoratori hanno reso pubblica una lettera sottoscritta da tutti, in cui si legge: “la lotta per i nostri diritti non è solo per i diritti e gli interessi dei 1800 operai di questa fabbrica, a noi stanno a cuore i diritti e gli interessi di tutti gli operai cinesi. Speriamo di aver dato un esempio positivo per i diritti degli operai”.
Il risveglio dei lavoratori, per questo paese, non è un fatto negativo, ogni strato sociale lotta per i propri interessi e diritti favorendo e formando una grande forza che va nella direzione di un paese giusto ed equo.
Link dell`articolo originale in cinese: http://www.nfcmag.com/articles/2162
Traduzione a cura di Diego Gullotta

La proletarizzazione incompiuta

Vedere la Cina a partire dai suicidi della Foxconn

di Pn Ngai

Tratto dal secondo appuntamento del “Forum su globalizzazione e sviluppo sociale”, organizzato dal centro di studi di politica ed economia internazionale il 14 Maggio 2010 presso la China University of Political Science and Law.
Sono già otto i morti alla Foxconn (e non sette), e personalmente ritengo che questi fatti non solo siano drammatici, ma è importante sapere con quali criteri valutarli. I media mainstream parlano di questi tragici eventi come si trattasse di una questione personale: il suicidio di un giovane laureato che sembrava aperto e gioioso è ricondotto a un problema spirituale, altri che si sono suicidati lo avrebbero fatto per problemi psicologici. Fra questi c’è un lavoratore maschio, che si sarebbe gettato dal tetto del dormitorio a causa della pressione dovuta a problemi di fertilità. Dopo il settimo suicidio alla Foxconn sono stati chiamati noti psicologi; recentemente sono stati chiamati anche dei preti taoisti. Il management della Foxconn preferisce vedere il problema come questione di Fengshui e di psicologia anziché come problema di gestione di impresa o problema della società. Vediamo il problema, invece, da un punto di vista sociologico.
Vorrei partire da qui per analizzare i nonmingong, ovvero i contadini che migrano dalle campagne per lavorare nelle fabbriche, nel processo di formazione di una nuova classe operaia. I miei libri sono sulla prima generazione di lavoratori contadini migranti, ultimamente ho scritto degli articoli sparsi sulla seconda generazione, e vorrei provare a inserire questa seconda generazione nel contesto teorico marxista, nella formazione del proletariato, aggiungendo poi alcune teorie post-marxiste, per vedere se è possibile interpretare i suicidi e gli scioperi come fenomeni di protesta nel quadro della tradizione teorica marxista o della sociologia.
Ovviamente non consideriamo il suicidio come cosa normale, se così fosse la pratica degli operai coreani che si danno fuoco sarebbe solo un atto da vedere come monito per la società, e gli operai giovani cinesi che si suicidano sono una tragedia troppo forte per pensare che si tratta, dopotutto, solo un modo per raccontare alla società l'ingiusto trattamento subito.
I suicidi avvenuti da Gennaio fino a oggi, sono stati compiuti da ragazzi che avevano dai 18 ai 24 anni; le modalità del gesto sono le stesse: buttarsi dal tetto di un palazzo, un gesto senza ripensamenti. Di questi otto, due operaie sono rimaste ferite e non sono morte. Feriti o deceduti, come comprendere questa tragedia? Metterla dentro il contesto dell’impresa o mettere le problematiche interne dell’impresa dentro un contesto più ampio, fatto di 230 milioni di lavoratori contadini migranti? […]
A Shenzhen, il salario comune di un operaio è tra i 1000 e i 1500 RMB, quello della Foxconn tra i 1500 e i 2000, ovvero fondamentalmente più alto; le condizioni lavorative e la gestione sono leggermente migliori, e per questo, se in altre imprese più piccole c’è il problema di trovare operai, alla Foxconn ogni mattina alle 5.30 c’è gente che fa la fila per entrare in fabbrica […].
Il segreto per cui la Cina è divenuta fabbrica del mondo consiste nel sostegno che le è stato dato da parte di 230 milioni di lavoratori contadini migranti con i loro bassi salari.
Quando noi leggiamo la formazione della classe operaia nel quadro della Cina come fabbrica del mondo, vediamo chiaramente chi sta costruendo la ricchezza, chi sta in definitiva edificando la Cina come fabbrica del mondo, chi si sacrifica, chi ne trae beneficio. Oggi si è già riproposto il fenomeno della società di classe: un paese socialista, che proprio per questo si dovrebbe liberare dai rapporti di produzione capitalisti, ha permesso alla divisione di classe di dilagare profondamente nei rapporti sociali.
Io sono diventata marxista quando, per la prima volta, sono entrata nelle zone industriali cinesi, la prima volta che sono entrata in fabbrica, quando ero ancora studentessa universitaria nei primi anni Novanta; a quel tempo a Hong Kong ci sono stati dei grandi cambiamenti economici e molte fabbriche si trasferivano nella Cina continentale. Mentre gli operai di Hong Kong affrontavano la disoccupazione, la Cina viveva il fenomeno dei lavoratori contadini migranti che, anno dopo anno, andavano nel Guangdong per lavorare.
Questi cambiamenti mi hanno colpita, e sono rimasta esterrefatta perché non riuscivo a tollerare che, proprio nella patria del socialismo, si permettesse il bruto sfruttamento capitalistico; questo sfruttamento, negli anni Novanta, era addirittura più forte rispetto ad oggi.
Quando sono entrata in fabbrica nel ‘95, dove si producevano le componenti elettroniche per i cellulari di allora, ho chiesto a un po’ tutti quale fosse il loro salario, quante ore di lavoro dovevano fare al giorno.
Forse i vostri genitori sono stati la prima generazione di lavoratori contadini migranti che abbiamo intervistato, quella situazione l’hanno chiara. Quando entrai in fabbrica, adirata lessi Il Capitale di Marx, e trovai che la situazione ivi descritta non riusciva ad arrivare alla gravita’ di cio’ che accadeva negli anni Novanta. Lo stipendio di cui parla Il Capitale e’ calcolato in base alla settimana lavorativa, ma in Cina allora spesso lo stipendio non veniva dato per oltre tre mesi e il tempo di lavoro era estenuante. Agli inizi degli anni ’90, in fabbrica e nei dormitori c’erano incendi dove gli operai morivano. Il Capitale, che descrive la situazione industriale del XIX secolo, ha influenzato la rivoluzione socialista dopo Marx; se confrontiamo l'epoca di Marx con i suicidi della Foxconn, ne vien fuori che, quell'epoca, era forse un po’ più felice della nostra.
Cambiamo prospettiva, all’inizio degli anni ’90 la pressione sul lavoro era molto più forte, lo stipendio era solo di 500 RMB attuali, e invece oggi lo stipendio ha raggiunto i 1000-1500 RMB; i dormitori e gli spazi della fabbrica sono migliorati, le condizioni di vita lavorative anche. Ma allora, mi chiedo, come mai i suicidi e gli scioperi degli operai non si sono verificati con la prima generazione di lavoratori contadini migranti e invece si verificano oggi?
Quando sono entrata in fabbrica e ho visto le condizioni orrende di lavoro, non capivo come mai nel nostro paese socialista potesse verificarsi una cosa del genere; ero arrabbiata, eppure le operaie non lo erano, pensavo che ciò dipendesse dal fatto che erano angosciate, sotto pressione, che non ci fosse modo affinché ciò che provavano potesse esprimersi; eppure non ho visto suicidi, capitavano morti improvvise o per la fatica, ma non come oggi.
Negli anni ’90 abbiamo visto gli operai iniziare ad arrabbiarsi, scioperare; dopo il 2000 nel delta del Pearl River Delta e in particolare a Dongguan, si sono verificati ondate di scioperi, con migliaia di persone che vi partecipavano, seppure senza alcuna copertura mediatica.
Dopo che alcuni media si sono interessati, essi tuttavia non hanno continuato a farlo perché gli scioperi erano diventati quotidiani, in particolare a Dongguan: erano diventati così tanti e frequenti che non attiravano più l’attenzione.
Ma come possiamo interpretare le differenze fra le due generazioni di lavoratori? Dobbiamo riflettere su questo tema, chiedendoci anzitutto come sono emersi i lavoratori contadini migranti.
Inoltre dovremmo approfondire le differenze fra le due generazioni di nonmingong nella medesima composizione di classe, rapporti di produzione, operai che fanno lo stesso lavoro nella fabbrica del mondo e affrontano le contraddizioni del capitalismo; poiché fra le due generazioni la differenza è davvero ampia.
Infine dovremmo riflettere sul processo di formazione della nuova classe dei lavoratori contadini migranti: in trenta anni di rimodellamento il contadino è diventato lavoratore (temporaneo, senza garanzie), soggetto del lavoro ma non lavoratore a pieno titolo; non è chiaro se sia ancora contadino o lavoratore. Anche se oggettivamente le condizioni che vive sono quelle di un operaio, tuttavia da un punto di vista soggettivo, come lavoratore, ha un problema legato alla propria identità.
Leggendo la questione del riconoscimento attraverso alcuni contenuti teorici del post-marxismo, nel passaggio da classe in sé a classe per sé, subentrano fattori complessi e difficili. Se introduciamo questo aspetto nella condizione particolare cinese, nel processo di coinvolgimento nell’economia globale capitalista e facciamo un paragone con gli altri paesi, la particolarità cinese sta nei nostri lavoratori contadini migranti: se infatti è chiaro che stanno in fabbrica a lavorare, dove spendono anche dieci, o venti anni della loro vita, questa posizione di lavoratore gli viene negata, la loro coscienza di soggetto ancora non si è formata completamente.
Stiamo forse assistendo alle Enclosures anche da noi? La nuova generazione dei lavoratori contadini migranti non ha più modo di tornare al villaggio e allo stesso tempo non ha modo di restare in città. Non può rimanere e non può tornare. Non dobbiamo forse ricercare i motivi dei suicidi e delle proteste dei contadini migranti lavoratori in questa situazione bloccata, in questa condizione di classe proletaria incompiuta?
Penso che il fenomeno dei contadini migranti lavoratori non si possa separare dallo sviluppo degli ultimi 30 anni. Il periodo delle riforme cominciò dalle campagne, che distrusse la sua dimensione collettiva e favorì l’emergere di piccole economie contadine; la base di questa forza lavoro va ricercata nella fine del collettivismo, che ha prodotto una sorta di eccesso di forza lavoro contadina. I nostri sociologi usano una bella espressione per questo fenomeno: una ricca forza lavoro.
Non importa se in eccesso o ricca, importa dire che una generazione di giovani non ebbe più nulla da fare in campagna, nessuna opportunità di lavoro poiché la terra della campagna non poteva più occuparli. Così iniziarono a migrare in cerca di lavoro nelle città, in particolare in quelle delle costa dove arrivavano capitali stranieri. Così venne fondata la Cina come fabbrica del mondo, fondata grazie alla forza lavoro a basso costo; la riforma delle campagne e la “open door strategy” hanno interamente fabbricato il segreto dei lavoratori contadini migranti.
In base a quel che ho capito allora, al tempo con due o trecento RMB (mensili?!) si pagava la forza lavoro per oltre dieci ore (giornaliere?!). […]
Quando ho cominciato a fare ricerca in fabbrica, i padroni non avevano nessuna fiducia nei lavoratori; in città si sentiva dire che gli operai cinesi erano difficili da gestire, e che gli piaceva particolarmente rubare la merce. Era così? Certo, rispetto agli operai di Hong Kong e Taiwan il fenomeno del furto della merce è più alto. Recentemente un operaio della Foxconn si è ucciso, sotto pressione da parte dell’azienda, per aver perduto il prototipo di un iPOD. Ma riflettiamo su come, negli anni Novanta, nella fabbrica dove facevo ricerca pagavano gli operai 400/500 RMB e il cellulare che si produceva ne costava 10.000. Consideriamo questa, di differenza.
Ho notato che in molti hanno timore ad usare concetti come classe e sfruttamento, ma basta entrare in una fabbrica e sfruttamento, dignità e parole simili non sono così estranee. La classe corrispettiva allo sfruttamento, la rabbia che ogni operaio ha e può esprimere, di queste cose ne parliamo tranquillamente in accademia fra studenti e professori da un punto di vista storico.
Oggi si ha paura dell’emergere delle contraddizioni di classe, e pochi anni fa in alcune fabbriche non c’era la minima dignità per i lavoratori, il posto dove si viveva e lavorava era senza vie di fuga: alcuni operai sono morti bruciati per questo. Le fabbriche degli anni Novanta avevano i magazzini al piano terra, al secondo e al terzo la catena di montaggio, mentre gli operai vivano ai piani più alti; per la paura dei furti si chiudeva tutto a chiave ma, in caso di incendio, era impossibile scappare e si moriva bruciati. Il mio lavoro “Operaie Cinesi”, collocato negli anni ’80 e primi ’90, nasce perché al tempo, come studentessa universitaria, vidi delle operaie morire così.
Dopo questi incendi, le zone dei dormitori e quelle della produzione vennero separate grazie ad apposite leggi.
Negli ultimi anni ho scritto diversi articoli sulla questione degli alloggi: se la prima caratteristica della fabbrica del mondo sta nei lavoratori contadini migranti, la seconda è rappresentata dai dormitori legati alla fabbrica. Occorre interrogarci sul contesto di vita della forza lavoro, sulla possibilità di fare famiglia, poiché oltre a un salario si deve pensare al fatto che questo si lega all’alloggio e alla possibilità di allevare figli che possano studiare, al fatto che se ci si ammala si possa andare dal medico. Ma il salario dei 230 milioni di lavoratori contadini migranti basta solo per vivere in alloggi comuni, dove sono ammassati decine di lavoratori. Lo stipendio non gli consente di rimanere nella città di Shenzhen.
La zona di sviluppo costiera di Shenzhen pensa infatti di utilizzare questa forza lavoro per un breve periodo, prima che i migranti ritornino nelle campagne; quel che serve allora è forza lavoro, non lavoratori. La questione è sempre più chiara oggi; all’inizio in fabbrica c'erano solo lavoratori contadini migranti che in campagna avevano un proprio pezzo di terra e la possibilità di tornare; per questo se io mi arrabbiavo tuttavia questi lavoratori contadini migranti non erano arrabbiati. Negli anni novanta gli operai si consideravano, in fondo, contadini, anche se da un punto di vista marxista i loro rapporti di produzione erano già cambiati ed erano divenuti veri e propri operai impiegati nella fabbrica. Questo tuttavia senza una posizione completa da operaio: il loro salario non lo era, perché il salario di un operaio garantisce il costo per le condizioni di riproduzione della generazione successiva, il poter avere una famiglia.
Se negli anni ’80 il salario che si dava non consentiva di vivere in città, oggi il salario dato alla Foxconn, tra i 1500 e i 2000 non consente, come prima, a un operaio di vivere a Shenzhen. Questo sistema come fa a riprodursi, questa sostenibilità come si tiene in piedi?
Diciamocelo chiaramente che essa si regge solo esclusivamente sui lavoratori contadini migranti, il cui salario è la metà di quello di un lavoratore normale; inoltre vivendo nell’alloggio della fabbrica, si può risparmiare soldi per il proprio futuro, dato che non è detto che alla Foxconn ti accettino ancora quando avrai superato i trent’anni.
Oggi vediamo come lo sviluppo delle grandi città si poggia tutto sulle spalle della forza lavoro contadina. La città è sempre più ricca, costruiamo città sempre più globali come Pechino, Shanghai, Shenzhen, Canton, i cui governi non hanno alcun obbligo sulle pensioni e cura dei 230 milioni di lavoratori contadini migranti. Dopo aver sfruttato la forza lavoro non hanno il minimo piano per la sua riproduzione né della sua cura; il piano è quello di rispedirli nella campagna che da vent’anni è in rovina, senza sviluppo, e dove adesso, addirittura, incombe la vendita della terra. Questa è l’ingiustizia fondamentale, laddove la forza lavoro a basso costo sostiene la produzione a basso costo, prodotti per i paesi occidentali come gli USA, dove chi non ha soldi li chiede in prestito per consumare. Il governo Cinese presta continuamente soldi a coloro che possono consumare le merci fatte con forza lavoro a basso costo nel sistema economico globale, laddove il sacrificio finale ricade sulle masse dei lavoratori contadini migranti.
Quale è la differenza fra le due generazioni di lavoratori contadini migranti? La prima generazione aveva una grande capacità di sopportazione, mentre la seconda generazione mal sopporta; come mai si è prodotta questa differenza psicologica? Un’analisi attenta ci direbbe che, sebbene la prima generazione avesse maggiore forza di sopportazione di fatica e avversità, tuttavia aveva speranze e obbiettivi: i soldi guadagnati li usava per costruirsi una casa e una vita onorevole, ciò che gli consentiva di sopportare angosce e fatica del lavoro in città. La seconda generazione si è formata interamente in ambito urbano, e aspira ad un modo di vita metropolitano, ovvero uno stile prodotto negli ultimi anni; una civiltà urbana continuamente inseguita dicendo che bisogna lasciare la campagna altrimenti “si perde la faccia”, l’onore, sei poco sviluppato, non hai la possibilità di ricambiare quello che i tuoi genitori ti hanno dato a suo tempo: è questo il contesto odierno. La strada dello sviluppo odierno e la sua cultura ci fa vedere come nemica la nostra campagna e il nostro passato.
Nel momento in cui ci mettiamo a costruire civiltà metropolitane come Pechino e Shanghai, i valori della nuova generazione sono interamente basati su questo, e questa è la differenza rispetto ai nostri padri che invece si basavano interamente sulla campagna. La prima generazione, sebbene povera e costretta alla fatica, aveva una casa a cui pensare; per chi oggi ha tra i 18 e i 20 anni non c’è motivo di restare legati alla campagna.
I 1500 RMB guadagnati oggi sono davvero di più dei 500 di ieri? Forse sono addirittura di meno, a causa dell’inflazione e dei prezzi che crescono.
Negli anni ‘90 ai “bordi” (slums) di Shenzhen o Canton potevi trovare, per duecento o trecento RMB, una casa in affitto dove vivere con la famiglia. Oggi no. I lavoratori contadini migranti sono costretti a stare nelle zone industriali nel dormitorio offerto dall’impresa, quegli stessi dormitori dai cui tetti si sono buttati alla Foxconn.
Un lavoratore contadino migrante di vent’anni, se non vuole restare in campagna e vuole vivere in città, deve spenderli almeno 1000 RMB, ma con uno stipendio che arriva a 1500 come fa a risolvere le necessità di base della propria vita? Non c’è uscita per i dibattimenti e le difficoltà per questa nuova generazione. Due o tre anni fa, si parlò molto di quando la neve costrinse i contadini migranti lavoratori a restare in città e non poter tornare a casa per la festa del capodanno cinese; ma anche se fossero ritornati si trattava di solo due settimane e loro ne erano coscienti. La vita di campagna, il suo valore e la sua realtà si sono ormai perdute, figuriamoci per la seconda e terza generazione.
Si possono allora individuare due strade percorribili: da un lato la possibilità di un nuovo sviluppo delle zone rurali differente dalla vendita della terra, che non sia un modello ad uso e consumo solo delle grandi imprese che stanno divorando la campagna. Permettere alle persone che vi ritornano di avere una base economica di cui vivere, poter avere una percezione della propria vita che abbia un futuro.
La seconda strada è far diventare realmente questi lavoratori contadini migranti la nuova classe operaia, il cui aumento di stipendio sarà solo un beneficio per lo sviluppo della Cina. Alzando lo stipendio alla Foxconn si influenzano anche le altre imprese al miglioramento, si influenza tutto il territorio di Shenzhen. Il vero problema è l’orrida competizione al ribasso interna al capitale, l’ultima frontiera della competizione al ribasso il cui ultimo costo lo pagano i lavoratori. Perché il lavoratore si trova in questa condizione? Diciamocelo: oltre al fatto che i nostri sindacati non svolgono nessuno ruolo utile, i nostri lavoratori non hanno avuto la forza di contrattare lo stipendio; non c’è una forza nelle città, poiché siamo ancora in una situazione fluttuante e senza radicamento: oggi lavori a Dongguan, domani magari a Shenzhen o Canton. In questo modo non c’è appartenenza a una casa e a una società.
La forza dei lavoratori, la scommessa che può fare dentro ai processi del capitale è spezzata entro queste condizioni, ed è chiaro che il capitale vuole mantenere i lavoratori di seconda e terza generazione come contadini migranti. Ecco perché non abbiamo ancora modificato questa situazione (dell’identità/hukou). Alzare lo stipendio significa anche influenzare la situazione degli studenti; perché lo stipendio di un laureato è così basso? Perché dietro c’è un fratello che prende ancora meno, un migrante lavoratore che prende ancora meno, un disoccupato che prende ancora meno. Oggi dobbiamo ragionare su chi poggia la società, di chi proteggere i diritti.
Traduzione dal Cinese: Diego Gullotta

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!