lunedì 9 dicembre 2013

Messico - Votàn Zapata

Murales di Emory Douglas a Morelia (ph Duccio Scotini e Gea Piccardi)

“Coloro che avevano scommesso sul fatto che noi esistevamo solo mediaticamente e che, circondati dal silenzio e dalle menzogne, saremmo scomparsi, si sbagliavano. Quando non c’erano videocamere, microfoni, penne, orecchie e sguardi, noi esistevamo”[1]. 

di Duccio Scotini e Gea Piccardi

Gli zapatisti non solo hanno vinto la strategia contrainsurgente del governo messicano ma hanno anche dato prova che l’autonomia può durare negli anni: dal 1983, quando nacquero come organizzazione clandestina, al 2013, anno di inizio dell’Escuelita.

A partire dalla marcia del 21 dicembre 2012 (giorno indicato dai media come quello della fine del mondo e per i Maya l’inizio di una nuova era) si è susseguita una serie di comunicati dal titolo Ellos y Nosotros in cui dichiarano la distanza dalla cultura politica della rappresentanza e da un sistema economico neoliberista, l’esistenza di un’altra maniera di vivere e governarsi e l’esigenza di stabilire nuove connessioni con i movimenti sociali del Messico e del mondo. Per questo prende forma il progetto di organizzare nel mese di Agosto la prima sessione dell’Escuelita zapatista, una “scuola” che ha coinvolto e coinvolgerà oltre le comunità zapatiste, migliaia di persone da tutto il mondo.


Durante l’Escuelita abbiamo sperimentato prima di tutto l’apprendimento come etica dell’incontro. Siamo andati a condividere la vita quotidiana con la gente comune non ad ascoltare i comandanti indigeni o il subcomandante Marcos, non abbiamo assistito alla trasmissione discorsiva di un sapere codificato. Migliaia di donne e uomini, indigeni e zapatisti, si sono convertiti, durante la scuola, in Votàn. Ciascun Votàn si prendeva cura del singolo alunno, gli raccontava la storia dei pueblos indigeni zapatisti, la loro identità, la loro organizzazione, con lui studiava i libri di testo, andava a lavorare, rispondeva ai suoi dubbi, e infine traduceva dalle lingue maya allo spagnolo e viceversa.

Termine maya difficilmente traducibile, Votàn per gli zapatisti significa qualcosa come “guardiano e cuore del popolo” o “guardiano e cuore della terra”, o ancora “guardiano e cuore del mondo”. Il Votàn è dunque un’entità singolare e comune allo stesso tempo: una persona ordinaria il cui orecchio e la cui parola sono collettivi. Non è un volto definito, un’individualità riconoscibile: è uno, ma dietro quell’uno potenzialmente si nascondono tutti. Con i nostri Votàn abbiamo preso parte a questa “scuola” dove non c’erano aule, esami e professori. La scuola era il collettivo, lo spazio aperto della comunità.

A noi due hanno assegnato comunità diverse e una di queste era il poblado Vicente Guerrero, presso il Caracol de La Garrucha. Nato nel 2002, Vicente Guerrero è, come la maggior parte del territorio zapatista, tierra recuperada, occupata e sottratta alla proprietà di rancheros e tierratenientes. “Motore dell’autonomia”, diceva un Votàn, sono i trabajos collectivos: lavori di gruppo a cui prendono parte in maniera rotativa tutti i membri della comunità e che non riguardano solo la produzione alimentare, ma anche la scuola, la cura e la comunicazione.
Escuelita autonoma (ph Alex Campos – Nomad Eyes). 

Il nostro apprendimento consisteva, in buona parte, nella partecipazione diretta ai differenti trabajos della comunità, tuttavia non si è trattato di apprendere un mestiere particolare ma, al contrario, di prendere parte a una forma di organizzazione che è quella dell’autonomia. La partecipazione a questa processualità, che altro non è che la sperimentazione di una democrazia radicale dal basso, si è data soprattutto attraverso un’esperienza di condivisione che può esserci soltanto nella pratica. Per dirla con Gustavo Esteva, altro alunno dell’Escuelita, “sono mancate delle parole perché abbiamo esperito novità radicali che non provengono dai libri, dai ruoli o dalle ideologie, ma dalla pratica e per questo portano con sé un impegno di immaginazione”[2].

Andando oltre le parole d’ordine, le logiche identitarie e i vuoti appelli alla costituzione di “fronti uniti” contro i governi o la crisi, che caratterizzano ancora molte organizzazioni politiche, gli zapatisti affermano: “La nostra analisi del sistema dominante ci ha portato a dire che l’unità di azione può esserci se si rispettano quelli che noi chiamiamo “i modi” di ognuno, ossia le conoscenze che ognuno di noi, individualmente o collettivamente, possiede della sua geografia e calendario. Ogni tentativo di omogeneità non è altro che un tentativo fascista di dominazione, anche se si nasconde dietro un linguaggio rivoluzionario, esoterico, religioso o simile. Quando si parla di unità si omette di dire che questa “unità” è sotto la direzione di qualcuno o qualcosa, individuale o collettivo”[3].

Non si tratta ovviamente di dare dei giudizi di valore, ma di esercitarsi in quello sforzo di immaginazione di cui parla Esteva e in questo senso chiedersi: perché gli zapatisti hanno scelto la forma di una “scuola”? Che nesso c’è tra i processi di apprendimento, a cui abbiamo partecipato durante l’Escuelita, e i modi di costruzione dell’autonomia zapatista? Che relazione c’è tra forme di apprendimento che rifiutano qualsiasi tipo di “pedagogia” e pratiche autonome oltre lo Stato e i sistemi di rappresentanza? Crediamo che questo sia uno dei problemi fondamentali che l’esperienza zapatista ci lascia.

Linea del tiempo (ph. Alex Campos-Nomad Eyes)Pensare l’apprendimento non come una formazione teorica alternativa, autodidatta, che si pone contro le istituzioni addette all’insegnamento e alla trasmissione di conoscenze, ma come una pratica che sfida, in tutte le sue manifestazioni, la produzione di verità e di sapere attuali e che non concerne solo l’ambito del “teorico” o dell’accademico, ma tutti gli istanti della vita quotidiana. Pensare l’apprendimento come un rapporto tra soggetto ed esperienza significa immaginarsi una pratica politica che si rimpossessi di mezzi e strumenti di percezione del mondo e che parta, prima di tutto, da un non sapere dei corpi. 

L’apprendimento, quindi, come una forma di soggettivazione che diventa molto forte proprio nel momento in cui la formazione entra in crisi e come pratica politica di organizzazione che si afferma proprio quando le altre pratiche perdono di senso.

Secondo Raúl Zibechi “Ci sarà un prima e un dopo dell’Escuelita zapatista. Della recente e di quelle che verranno. Sarà un impatto lento e diffuso, che si farà sentire in alcuni anni e segnerà la vita dei los de abajo durante decadi”[4]. Certamente per gli zapatisti l’Escuelita produce grandi trasformazioni, tuttavia restano aperti dei quesiti che, abbandonando il territorio chiapaneco, si rivolgono da là a qua, inserendosi in quella distanza che intercorre tra l’esperienza vissuta e il ritorno a casa. Quale sarà il nostro “dopo” dell’Escuelita?

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1 Comité Clandestino Revolucionario Indigena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberàtion Nacional – 30 dicembre 2012, ¿Escucharon? Recopilacion de comunicados del EZLN Diciembre 2012-Febrero 2013, El Rebozo, Oaxaca, 2013.Cfr. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/02/ezln-annuncia-i-seguenti-passi-comunicato-del-30-dicembre-2012/


2 Gustavo Esteva, Y si, aprendimos, in http://www.jornada.unam.mx/2013/08/19/opinion/018a2pol

3 Comité Clandestino Revolucionario Indígena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Ellos y nosotros. V. La Sexta, (tomo I), El Rebozo, Oaxaca, 2013. Cfr. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/26/ellos-y-nosotros-v-la-sexta-2/

4 Raúl Zibechi, Las escuelitas de abajo, in http://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/opinion/023a1pol

5 Alex Campos, autore delle fotografie, è un artista e filmmaker che attualmente lavora in Messico. Qui il link del suo canale www.youtube.com/user/olharesnomadas


fonte: http://www.alfabeta2.it/2013/11/24/votan-zapata/

Ucraina - Mezzo milione rispondono all'ultimatum del Governo

I nazionalisti di Svoboda abbattono la statua di Lenin

Oggi scade l’ultimatum dato dal Governo ai manifestanti che da 10 giorni occupano le piazze e alcuni palazzi del potere nel centro di Kiev. Ieri migliaia di persone – 500000 secondo le agenzie - sono scese in strada rispondendo all’appello dei manifestanti e dei partiti che cavalcano l’ondata di proteste, una risposta forte e chiara al Potere che chiede di smobilitare.
Dopo aver presidiato la sede del governo ucraino, il corteo pro-Ue si è diretto verso il palazzo del presidente e un gruppo di manifestanti ha abbattuto la statua di Lenin nel centro della capitale ucraina. Secondo l’agenzia Itar-Tass, ad abbattere il monumento sarebbero stati dei militanti del partito ultranazionalista Svoboda. La statua è stata fatta cadere con delle corde, quindi decapitata al grido di «Yanukovich sei il prossimo».
In un paese così spaccato è forse sbagliato ragionare in termini di “cittadini versus potere” poiché una buona metà dei cittadini ha votato per questo presidente e questo governo.  Si tenga presente che l’Ucraina è uno stato, storicamente, diviso in 2 parti, segnate geograficamente da fiume Dniper, di qui discendenti degli Uniati, di là russofoni. A molti ucraini l’Unione Europea non piace. E soprattutto non piace un’opposizione nazionalista dalla quale – essendo russofoni – si sentono minacciati. Sono cose da tenere in considerazione se si parla di Ucraina. E’ la crisi economica che sta portando il paese alla bancarotta a spingere la gente in piazza, non il desiderio di entrare in Europa. Ed è l’evidente malgoverno di Yanukovych a convincere parte di chi l’ha votato della sua inadeguatezza, non una volontà di distacco da Mosca.
Proponiamo qui di seguito alcuni spunti analitici dall’EastJournal.net che ha pubblicato un intervento di Dimitar  Bechev, un analista allo European Council on Foreign Relations (ECFR), un think tank con sede a Londra.

venerdì 6 dicembre 2013

Un vincitore è semplicemente un sognatore 
che non si è mai arreso! 





giovedì 5 dicembre 2013

Venezuela - Crisi della rappresentanza e crisi economica

Nel 2012 le esportazioni di petrolio hanno portato 94 miliardi di dollari mentre le importazioni (a livelli storicamente elevati) sono state di soli 59,3 miliardi di dollari.

Le cronache giornalistiche internazionali descrivono un Venezuela sul'orlo di una crisi politico istituzionale ed economica che potrebbe trasformarsi in rivolta sociale contro la gestione del paese, contro l'esperienza bolivarista.
La stessa autorizzazione parlamentare concessa al presidente Maduro di avocare a se diverse deleghe legislative - simili ai nostri decreti legge - è stata illustrata come un grave sintomo di crisi e una svolta autoritaria all'interno del paese.
Ci raccontano della mancanza di derrate alimentare nei supermercati, dell'imposizione manu militare di prezzi calmierati sui prodotti, quali frigoriferi, lavatrici, bianchi da incasso, in alcune catene di distribuzione.
Così come ci viene raccontato di una opposizione politica e sociale che si mobilita nel paese muovendo grandi masse popolari che richiedono un cambiamento radicale nella gestione delle risorse e  nelle scelte dell'intervento pubblico.
Proponiamo di seguito un'ampio stralcio dell'articolo di Ewa Sapiezynska (dottoranda in Scienze Sociali presso l’Università del Cile) e di Hassan Akram  (laureato in Economia Politica presso la Cambridge University, attualmente insegna presso la Facoltà di Economia e Scienze Aziendali presso l’Università del Cile), tradotto da znetitaly.net.

In realtà queste deleghe di legiferazione non sono nulla di nuovo in Venezuela. Poteri simili sono stati assegnati a Hugo Chavez (nel corso dei suoi 13 anni al potere gli sono stati assegnati quattro volte). Inoltre questo potere decretale è stato concesso a presidenti venezuelani prima di Chavez. In realtà le deleghe legislative sono state utilizzate sei volte prima che egli salisse al potere nel 1999. E’ un’autorità costituzionale assegnata dal parlamento eletto e può essere revocata da quello stesso parlamento. E’ difficile criticare l’obiettivo di snellire procedure amministrative su un problema importante come la corruzione; dichiarare che una tale mossa mette a rischio la democrazia è chiaramente un’esagerazione.

La stabile economia del Venezuela
Naturalmente la richiesta di poteri di decretazione su temi economici è dovuta al riconoscimento che il Venezuela sta affrontando problemi in quest’area. Ma, contrariamente al mito spacciato dai media e da molti analisti, specialmente quelli vicini al governo statunitense, il Venezuela non si sta approssimando al collasso economico. L’economia, com’è sempre stato, è in larga misura dominata dall’estrazione di petrolio che il paese utilizza per acquistare cibo e beni di consumo. Il ricavato dalle esportazioni di petrolio è confortevolmente superiore alla spesa per importazioni, dunque il Venezuela non sta affrontando nulla di simile a una crisi del debito.
Di fatto nel 2012 le esportazioni di petrolio hanno portato 94 miliardi di dollari mentre le importazioni (a livelli storicamente elevati) sono state di soli 59,3 miliardi di dollari. Oggi ci sono circa 22 miliardi di dollari di riserve presso la Banca Centrale del Venezuela. C’è anche un surplus di parte corrente che è attualmente al 2,9 per cento del PIL. Considerati questi indicatori molto positivi, l’economista residente negli USA Mark Weisbrot è decisamente certo che il Venezuela non affronterà una futura crisi della bilancia dei pagamenti (del debito). La sua fiducia è condivisa dalla multinazionale bancaria statunitense Wells Fargo che ha recentemente elaborato un rapporto in cui dichiara il Venezuela una delle economie emergenti più protette contro la possibilità di una crisi finanziaria e dalla Bank of America Merrill Lynch, che ha raccomandato agli investitori di acquistare titoli del tesoro venezuelano.

lunedì 2 dicembre 2013

Cina, Giappone, Usa - Disputa finale?

 di Angela Pascucci

Mai risolta, la disputa fra Cina e Giappone sulle isole Diaoyu/Senkako nel mar della Cina orientale si riaccende periodicamente, ogni volta più infiammata a causa delle crescenti rigidità e intransigenze dei contendenti. Stavolta il gong del nuovo round è stato suonato dalla Cina quando, il 23 novembre scorso, ha annunciato l’istituzione di una nuova zona di difesa del proprio spazio aereo (Adiz, Air Defence Identification Zone), che include le isole contese e si sovrappone alla zona di controllo giapponese e, sia pur in misura minore, quella sud coreana. Con questa decisione Pechino impone a chiunque sorvoli l’area di identificarsi e fornire i propri piani di volo all’aviazione cinese, che in caso di inadempienza attuerà “misure difensive di emergenza”.

Ne è seguita una serie di scaramucce a jet sfoderati, aperta dagli indimenticabili B52 americani, due esemplari dei quali, decollati da Guam, sono stati spediti subito da Washington con un duplice scopo: far capire da che parte della contesa si colloca, in nome dei trattati di sicurezza sottoscritti con Tokyo, e sfidare la reazione cinese, che in questo caso si è limitata a “sorvegliare” l’azione (dichiarando che il sorvolo americano è avvenuto ai limiti dell’area) . 

Attraverso la breccia aperta dagli Usa (che formalmente hanno dichiarato trattarsi di “regolari esercizi” da loro normalmente condotti nell’area) si sono precipitati poi i jet militari giapponesi e anche quelli sud coreani. La Cina ha deciso in tutti questi casi di far decollare a mo’ di controllo un paio di velivoli della propria contraerea ma non ha ancora agito per imporre il rispetto delle nuove regole di identificazione, platealmente e volontariamente violate (anche se gli Usa hanno consigliato alle loro compagnie aeree civili di ottemperare alle richieste cinesi). 

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!