lunedì 11 luglio 2016

I danni del Pfas dall'America all'Italia


La lunga storia dell' avvocato Billot che scoperchiò la verità sulla DuPont

Da alcuni mesi si parla in Italia dell’inquinamento da Pfas, il composto di perfluoroalchilici, usato per trent'anni ed ancor oggi per Teflon, Goretex, cartone per alimenti ed allegramente sversato nei fiumi del Veneto dalla Mitemi, con il conseguente dilagante inquinamento delle falde. La vicenda viene riassunta dal giornalista Ivany Grozny in un pezzo per Articolo 21 e un reportage per Repubblica.it. 

Quel che ci interessa raccontare è la versione a stelle e strisce della stessa vicenda. 
Un viaggio in quel che è successo in America serve a farci riflettere su due impostazioni in teoria diverse intorno ai temi ambientali che mostrano entrambe i loro lati negativi.
Una riflessione utile nel momento in cui accordi come il TTIP porterebbero all'integrazione dei rispettivi mercati.
Da noi in Europa dovrebbe vigere il principio di precauzione: non si usa qualcosa che può essere pericoloso. Salvo poi non restringere le maglie di quel che viene definito pericoloso e il caso del Pfas è emblematico.
In America vige la logica che si può usare qualcosa fino a quando non si dimostra che fa male. Salvo poi ritrovarsi a rimborsare a suon di dollari chi è stato vittima dell’utilizzo e piangere sul "latte versato".
Si potrebbe dissertare su quale dei due sistemi è il migliore, su come in America funzioni la class action, che dà ai cittadini la possibilità di mettere in ginocchio chi inquina, su come in Europa i controlli preventivi siano più adeguati .. ma alla fine resta una domanda per tutti.
O prima o dopo? Non è forse il caso di dire mai! 
Lavorazioni, produzioni, impianti nascono per incentivare in maniera incessante lo sviluppo non importa a che prezzo e di cosa. Ed allora interrogarsi su cosa, perché, come si produce resta, certo la strada più lunga ed impervia, ma l’unica
Vi proponiamo alcune note ed un articolo del New York Times dedicato a Rob Billot, l’avvocato che ha fatto causa alla DuPont. Una storia che sembra la sceneggiatura di un film ma che è realtà.
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con A Sud - Veneto e le studentesse dell’Istituto Scarcerle di Padova
Nel 1951, la legge degli Stati Uniti non richiedeva ai produttori di sostanze chimiche di presentare informazioni riguardanti la sicurezza per l’ambiente e la salute umana prima della loro commercializzazione. Dopo l’emanazione del Toxics Substances Control Act (TSCA) da parte del Congresso nel 1976, oltre 63.000 sostanze chimiche, tra cui il PFOA, ricevettero l’autorizzazione alla commercializzazione “in bianco” per l’uso in prodotti di consumo e industriali, imponendo l’obbligo, però, di dare tempestiva comunicazione alle autorità qualora gli industriali fossero venuti in possesso di informazioni che soltanto facessero sospettare la pericolosità delle sostanze chimiche da loro prodotte.
L’inizio
L’acido perfluoroottanoico ha iniziato ad essere rilasciato nell'ambiente, sia mediante emissione nell'aria atmosferica che mediante scarichi nei fiumi.
I campionamenti effettuati in seguito su centinaia di pozzi privati e fonti pubbliche hanno dimostrato che, persino dopo la drastica riduzione dell’immissione da parte degli impianti chimici, la contaminazione delle acque potabili da parte dell’acido perfluoroottanoico persisteva e continuava ad aumentare negli anni in alcuni distretti situati in prossimità delle fabbriche.
La DuPont sapeva
Nei 10-20 anni seguenti alla sua introduzione nei processi di produzione la DuPont aveva avuto dei dati che indicavano come il PFOA si accumuli nel sangue umano, non si distrugga facilmente nell'ambiente, e possa causare gravi problemi di salute, tra cui danni al fegato , difetti di riproduzione e dello sviluppo del feto, e diversi tipi di tumori.
Il PFOA è stato individuato in una elevata percentuale di campioni di sangue umano e di polvere di casa prelevati in numerose case nel Massachusetts, nel Maine, a New York, in Oregon e in California, e ha contaminato l’acqua potabile in alcune comunità nella Virginia dell’est e in Minnesota.
DuPont e 3M, pur conoscendo questi allarmanti dati non hanno avvisato la US Environmental Protection Agency (EPA), come prevede il TSCA.
Ora si sa
Con le class action portate avanti contro la DuPont la verità è venuta a galla.
A partire dal 2005, numerosi studi epidemiologici sulle popolazioni che avevano bevuto per anni le acque avvelenate dalla DuPont hanno dimostrato la presenza di numerose patologie: cancro del rene, del testicolo, della prostata e di linfomi, alterazioni della funzione della tiroide, casi di infertilità femminile, casi di disfunzione del sistema immunitario nei bambini, aumento della pressione arteriosa e dell’omocisteina (una sostanza che favorisce l’aterosclerosi e le trombosi). È stata inoltra evidenziata una riduzione del numero e della qualità degli spermatozoi negli uomini adulti, soprattutto in quelli che erano stati esposti ad elevati livelli di PFOA durante la loro permanenza nell'utero materno nei nove mesi di vita prenatale.
Il dato più preoccupante emerso da questi studi è che il rischio di contrarre una o più patologie nella vita adulta è maggiore negli uomini e nelle donne che durante il loro periodo di vita intrauterina sono stati esposti ad elevati livelli di PFAA presenti nel sangue della loro madre. E’ come se questi adulti fossero nati già programmati, predestinati a contrarre in seguito, anche a distanza di decenni dalla nascita, una o più delle tante malattie causate dai distruttori endocrini.

L’avvocato che è diventato il peggior incubo di DuPont
Rob Bilott era stato un avvocato che aveva difeso le aziende per otto anni.
Poi ha indossato i panni dell’ambientalista, sconvolgendo la sua carriera e svelando una storia pluridecennale di inquinamento chimico.

di Nathaniel Rich
Era solo da pochi mesi che Rob Billot era arrivato allo studio Taft Stettinius e Hollister, quando ricevette una chiamata da una fattoria.
L’allevatore, Wilbur Tennant di Parkersburg, W.Va., raccontava che le sue mucche stavano morendo ad una ad una. Credeva che la compagnia chimica DuPont, che da poco lavorava in un terreno a Parkersburg, 35 volte più grande del Pentagono, fosse responsabile. Tennant aveva cercato aiuto in quella zona, disse, ma la DuPont possedeva l’intera città. Era stato respinto non solo dagli avvocati di Parkersburg, ma anche dai politici, giornalisti, dottori e veterinari del posto. L’allevatore era arrabbiato e parlava con un forte accento degli Appalachi. Billot si sforzava di dare un senso a tutto ciò che gli stava dicendo.
Molto probabilmente gli avrebbe chiuso il telefono in faccia se Tennant non avesse fatto il nome della nonna di Billot, Alma Holland White.
La signora White aveva vissuto a Vienna, nella periferia a nord di Parkersburg, e in estate da bambino, Billot spesso la andava a visitare. Nel 1973 lei gli fece visitare la fattoria di bestiame appartenente ai vicini dei Tennant, i Grahams, con i quali la signora White era amica. Billot passava i weekend a cavalcare, a mungere e a guardare “Secretariat win the Triple Crown”. Aveva 7 anni. La visita alla fattoria dei Grahams era uno dei ricordi più felici della sua infanzia.
Nel 1998, quando i Grahams sentirono che Wilbur Tennant stava cercando un aiuto legale, ricordarono Billot, il nipote della signora White, che era cresciuto e diventato un avvocato ambientale.
Non avevano capito, comunque, che Billot non era il tipo giusto. Non rappresentava i querelanti o i cittadini privati. Come gli altri 200 avvocati della Taft, società fondata nel 1885 e legata storicamente alla famiglia del presidente William Howard Taft, Bilott lavorava quasi esclusivamente per grandi clienti aziendali.
La sua specialità era difendere le aziende chimiche. Bilott aveva lavorato diverse volte con gli avvocati della DuPont. Tuttavia, per fare un favore alla nonna, accettò di incontrare l’allevatore. “Mi sembrava la cosa giusta da fare”, dice oggi. “Sentivo come se ci fosse un legame con la gente di quel luogo”.
Fin dal primo incontro non c’era niente di scontato. Circa una settimana dopo la telefonata, Tennant insieme alla moglie andò fino alla sede centrale della Taft nel centro di Cincinnati. Trasportarono dalla reception fino al 18esimo piano scatole di cartone contenenti videocassette, fotografie.
Si sedettero su moderni divani sotto un ritratto ad olio di uno dei fondatori di Taft. Tennant, robusto, alto circa un metro e ottanta, con un paio di jeans, una maglietta di flanella scozzese e un cappello da baseball, non sembrava il tipico cliente della Taft. “Non si è certo presentato ai nostri uffici come un vice direttore di banca” afferma Thomas Terp, socio supervisore di Billot.
Terp si unì a Bilott per l’incontro. Wilbur Tennant spiegò che insieme ai suoi quattro fratelli si era occupato della fattoria di bovini da quando il padre li aveva abbandonati da bambini. A quel tempo avevano sette mucche. Negli anni continuarono ad acquistare terreni e bestiame, fino a raggiungere il numero di duecento mucche su più di 600 acri di terreno. La proprietà avrebbe potuto essere più grande se solo il fratello Jim e la rispettiva moglie Della, non avessero venduto 66 acri alla DuPont all'inizio degli anni ’80. La compagnia voleva utilizzare la zona come discarica per i rifiuti della fabbrica vicino a Parkersburg, chiamata Washington Works, dove Jim era stato assunto come lavoratore. Jim e Della non volevano vendere, ma a causa di problemi di salute di Jim, a cui i dottori non riuscivano a trovare una diagnosi, furono costretti a cambiare idea.
Jim Tennant
Dupont ribattezzò la zona Dry Run Landfill, come il ruscello che scorreva dove i Tennants facevano pascolare le loro vacche. Non molto tempo dopo la vendita, Wilbur disse a Bilott che il bestiame cominciava a comportarsi in modo strano. I Tennants consideravano le loro mucche come animali domestici.
Wilbur fornì alcune videocassette: il filmato era sgranato e rovinato con alcune interferenze. Le immagini scomparivano e si ripetevano, il suono accelerava e diminuiva, mentre la qualità era come quella di un film horror. Nella scena iniziale la telecamera offriva una panoramica lungo il ruscello. Venivano riprese anche le foreste circostanti, i frassini che perdono le foglie e lo scrosciare delle acque del ruscello, prima di soffermarsi su quello che sembra essere un cumulo di neve. La telecamera ingrandisce e si capisce che è un accumulo di schiuma.
“Ho trovato due cervi e due bovini morti” affermò Tennant.
“Usciva sangue dal naso e dalla bocca…stanno provando a coprire questa cosa. Ma non ci riusciranno, perché farò emergere la verità, così che le persone possano vedere con i propri occhi.”
Il video mostrava un largo condotto nel ruscello, dal quale fuoriusciva acqua color verde che forma delle bolle in superficie. “Questo è ciò che si aspettano che il bestiame beva”, disse Wilbur “ è proprio ora che qualcuno del dipartimento di Stato tiri fuori gli attributi”
Ad un certo punto il video mostrava una vacca rossa che stava perdendo pelo con la schiena. Un risultato supponeva Wilbur di un malfunzionamento dei reni. Poi il primo piano di un vitello morto, disteso sulla neve, con occhi brillanti.
“Ho perso centocinquantatré di questi animali in questa fattoria”, disse Wilbur dopo il video.“Tutti i veterinari che ho chiamato a Parkersburg, non mi hanno richiamato o non volevano essere coinvolti. Siccome non vogliono essere coinvolti, dovrò analizzare la cosa per conto mio...”
Il video mostra la testa di un vitello divisa in due. Un primo piano mostra i denti anneriti, (dovuti all'alta concentrazione di fluoruro nell'acqua che bevono), il fegato, il cuore, lo stomaco, i reni e la bile dell’animale. Ogni organo è stato sezionato e Wilbur descriveva il loro colore e consistenza insolita. “Non ho mai visto niente di simile prima” disse.
Bilott guardò il video e le fotografie per diverse ore. Vide mucche con la coda spelacchiata, zoccoli deformati, pelle lesionata, occhi incavati e rossi, vacche che soffrivano diarrea, che rigettavano una bava dalla consistenza simile a quella del dentifricio, e che barcollavano, come ubriache, a causa delle gambe storte. Tennant si soffermò sugli occhi della mucca. “Questa mucca ha sofferto molto” disse.
“Tutto questo non è certo un buon segno” disse Bilott tra sé e sé. “Sta succedendo qualcosa di grave”.
Bilott decise subito di occuparsi del caso di Tennant.
“Era la cosa giusta da fare”. Bilott avrebbe potuto avere l’aspetto di un abile avvocato aziendale – pacato, carnagione chiara, e abbigliamento adeguato – ma questo impiego non gli veniva naturale. Non aveva il tipico curriculum della Taft. Lui non aveva frequentato il college e la scuola di legge a Ivy League. Suo padre era un lungo tenente colonnello dell’aereonautica militare. Bilott aveva passato gran parte della sua infanzia a trasferirsi nelle vari basi aeree, frequentato otto scuole prima di laurearsi nella scuola di Fairborn, vicino alla base militare Wright-Patterson di Ohio. Da ragazzo aveva ricevuto una lettera di assunzione da parte di una piccola scuola di arti liberali in Sarasota chiamata New College della Florida, che permetteva agli studenti di progettare il loro curriculum. Molti dei suoi amici erano idealisti, progressisti con ideologie contrastanti a quelle di Reagan. Discuteva con i professori e aveva imparato a valorizzare il pensiero critico. “Ho imparato a mettere in discussione tutto quello che si legge e ha non prendere niente per quello che sembra. Non importa che cosa dice la gente. Mi piaceva quella filosofia.”
Bilott si laurea in Scienze politiche, sperava di diventare manager della città.
Ma suo padre, che in tarda età si era iscritto a Legge, incoraggiò Bilott a seguire la sua strada. Sorprendendo i professori, scelse di frequentare Giurisprudenza nello stato dell’Ohio, dove vi era il suo corso preferito, ossia diritto dell’ambiente.
“Sembrava potesse avere un impatto reale nel mondo, era qualcosa che avrebbe potuto fare la differenza”.
Quando, dopo la laurea, la Taft gli fece un’offerta, i suoi mentori e i suoi amici del New College inorridirono. Non capivano come avrebbe potuto far parte di una società di quel tipo. Bilott non la vedeva in quel modo. Non aveva realmente pensato all'etica.
“La mia famiglia disse che una grande società era il luogo dove avrei avuto maggiori opportunità, ho semplicemente provato a ottenere il miglior lavoro che potessi permettermi. Non avevo la benché minima idea di ciò che avrebbe comportato”.
Presso la Taft, chiese di essere inserito nella squadra ambientale di Thomas Terp. Dieci anni prima, il Congresso aveva fatto passare la legge conosciuta come Superfund, che finanziava lo smaltimento di scorie e rifiuti pericolosi. Superfund era uno sviluppo redditizio per società come la Taft. Creava un intero micro settore interno al diritto dell’ambiente, che richiedeva una conoscenza approfondita delle nuove normative, in modo da guidare le negoziazioni tra le agenzie comunali ed numerosi enti privati. Il gruppo di Terp alla Taft era un leader del settore.
Come socio, a Bilott fu chiesto di determinare quali compagnie contribuivano alla dispersione di tossine e scarti pericolosi, in che quantità e in quali aree. Raccolse le deposizioni dei dipendenti degli impianti, lesse accuratamente i documenti pubblici e riorganizzò i dati storici.Divenne un esperto del quadro regolatore dell’organizzazione sulla protezione dell’ambiente e delle varie leggi ambientali riguardanti l’acqua potabile, l’aria incontaminata e il controllo delle sostanze tossiche. Si specializzò sulla chimica delle sostanze inquinanti, nonostante la chimica non fosse mai stata il suo punto forte.
“Ho imparato come lavorano queste aziende, come funzionano le leggi, come difendere questi diritti”, disse. Divenne il perfetto insider.
Bilott era fiero del lavoro che conduceva. L’incarico principale che gli era stato affidato, era quello di aiutare i clienti ad attenersi alle nuove norme. Molti dei suoi clienti, inclusi Thiokol e Bee Chemical, disperdevano rifiuti pericolosi da prima che la pratica diventasse così strettamente controllata.
Un collega della squadra ambientale della Taft, lo presentò ad un’amica d’infanzia, Sarah Barrage, anche lei avvocato. Lavorava presso un’altra società del centro di Cincinnati, nella quale difendeva le imprese contro le richieste di risarcimento dei lavoratori. Bilott invitò i due amici per pranzo. Fin da subito Sarah pensò che Bilott non fosse come gli altri ragazzi. “Io sono abbastanza chiacchierona. Lui è più tranquillo. Ci completiamo a vicenda.”
Si sposarono nel 1996. Il primo dei loro tre figli nacque due anni dopo. Il lavoro alla Taft era così tranquillo che la moglie abbandonò il lavoro per crescere i figli a tempo pieno. Terp, il suo supervisore lo ricorda come “uno straordinario avvocato: incredibilmente brillante, energico, tenace e molto, molto scrupoloso.” Era un modello per gli avvocati della Taft”. Poi arrivò Wilbur Tennant.
Il caso Tennant mise la Taft in una posizione scomoda. Lo studio legale lavorava per rappresentare le industrie chimiche non per farle causa.
“L’idea di far causa alla Dupont ci costrinse a prendere una pausa” dice Terp, ”ma in realtà non fu così difficile prendere tale decisione. Sono fermamente convinto che il nostro lavoro dalla parte del querelante ci renda degli avvocati difensori migliori.”
Bilott chiese aiuto per il caso Tennant ad un avvocato del West-Virginia chiamato Larry Winter. Per molti anni Winter fu partner presso la Spilman,Thomas &C; Battle, una delle ditte che rappresentava la DuPont nel West- Virginia. Era sorpreso che Bilott citasse in giudizio la DuPont mentre rimaneva alla Taft.
Bilott, dal canto suo è riluttante a discutere le motivazioni che l’hanno portato ad assumere il caso. Dice d’aver elaborato la sua scelta come un’occasione “di fare la differenza” nel mondo, dopo i dubbi che gli erano venuti sul percorso che stava prendendo la sua carriera.
“C’era una ragione se ero interessato ad aiutare i Tennant” dice dopo una pausa “era una grande opportunità quella di usare la mia formazione per persone che ne avevano bisogno.”
Bilott presentò la causa federale contro la DuPont nell'estate del 1999 nel distretto del Sud-West della Virginia. 
In risposta, l’avvocato della DuPont, Bernard Reilly, lo informò che la DuPont e l’E.P.A avrebbero condotto uno studio sulla proprietà, seguito da tre veterinari scelti dalla DuPont e tre scelti dall’E.P.A.
Il report si concluse affermando che la DuPont non era colpevole dei problemi di salute del bestiame. Il responsabile, invece, era l’allevamento: “scarsa nutrizione, inadeguate cure veterinarie, mancanza di funzionalità”. In altre parole i Tennant non sapevano come far crescere il proprio bestiame. Se le mucche stavano morendo, era solo colpa loro.
Fattoria Tennant
La decisione non andava certo bene per i Tennant, i quali iniziarono a subirne le conseguenze. Si inimicarono gli impiegati di Parkersburg. Chi lavorava alla DuPont, anche se prima erano loro amici, adesso li ignoravano, uscivano dai ristoranti quando loro entravano. “Non sono autorizzato a parlare con te” dicevano, quando si incrociavano. Per quattro volte i Tennant cambiarono chiesa.
Wilbur chiamò l’ufficio vicino ogni giorno, ma Bilott aveva poco da dirgli. Stava facendo per i Tennant ciò che avrebbe fatto per qualsiasi altro cliente aziendale – ritirare permessi, studiare gli atti del territorio e richiedere alla DuPont tutta la documentazione relativa alla discarica “Dry Run” ma non poteva trovare alcuna prova che spiegasse che cosa stesse succedendo al bestiame. “Eravamo frustati” dicee Bilott ”non potevo biasimare i Tennant per essersi arrabbiati”.
Con il processo imminente, Bilott si imbatté in una lettera che la DuPont aveva mandato all’E.P.A, nella quale menzionava la presenza di una sostanza nella discarica con un nome criptato: PFOA. 
In tutti i suoi anni di lavoro con le industrie chimiche, Bilott non aveva mai sentito parlare del PFOA. Non appariva in nessuna lista di materiali regolamentati, né si poteva trovare nella libreria della Taft. L’esperto chimico assunto per il caso, riprese un articolo di una rivista riguardante un simile composto: PFOS, un agente-detergente usato dalla tecnologia conglomerata 3M nella fabbricazione di protezione spray. Bilott cercò attraverso i suoi file altri riferimenti al PFOA, che scoprì essere una sintesi di acido perfluoroottanoico. Ma non trovò nulla. Allora chiese alla DuPont di mostrare tutta la documentazione riguardante la sostanza. La DuPont si rifiutò.
Nell'autunno del 2000, Bilott richiese un’ingiunzione per forzarli.
L’ordine fu concesso nonostante le proteste della DuPont.
Iniziarono ad arrivare dozzine di scatole contenenti migliaia di documenti al quartier generale della Taft: corrispondenze private interne, resoconti medici e sanitari oltre che studi segreti condotti dagli specialisti della DuPont. 
C’erano più di 110.000 pagine in tutto, di cui alcune risalenti a cinquant'anni prima. Bilott trascorse i mesi successivi sul pavimento del suo ufficio, revisionando i documenti e ordinandoli cronologicamente.
Si fermava unicamente per rispondere al telefono.
“Ho cominciato a ricostruire la cronologia degli eventi” dice Bilott.
“Avrei davvero potuto essere il primo a imbattermi in tutto questo. Diventò evidente ciò che stava venendo a galla: sapevano già da molto tempo che quella sostanza era dannosa".
Bilott non poteva credere alla portata di materiale incriminante che la DuPont gli aveva spedito. La compagnia sembrava non aver realizzato ciò che gli era stato consegnato. “Non riuscivo a credere a ciò che stavo leggendo” dice “È davvero stato messo per iscritto. E’ il genere di situazione di cui si sente sempre parlare, ma non si immagina mai che possa accadere veramente.”
La storia comincia nel 1951, quando la DuPont iniziò ad acquistare PFOA (che la compagnia descrisse come C8) da 3M per utilizzarlo nella fabbricazione di Teflon. 
3M aveva inventato il PFOA soltanto 4 anni prima; veniva utilizzato per fabbricare rivestimenti come il Teflon. Nonostante il PFOA non fosse classificato dal governo come una sostanza pericolosa, 3M inviò alcune raccomandazioni alla DuPont su come disporre di esso.
Le istruzioni della stessa DuPont specificavano che il PFOA non poteva essere scaricato sulla superficie delle acque o nelle fogne. 
Ma nei decenni che seguirono, la DuPont scaricò tonnellate di polveri di PFOA attraverso le bocche di scarico delle tubazioni di Parkersburg, nel fiume Ohio. 
La compagnia sversò 7.100 tonnellate di PFOA liquido negli “stagni digestivi”: pozzi aperti di proprietà della Washington Works, da cui le sostanze chimiche filtravano direttamente nel terreno. La PFOA entrò direttamente nella falda acquifera locale, che forniva acqua potabile alle comunità di Parkersburg, Vienna, Little Hocking e Lubeck – più di 100.000 persone in tutto.
Bilott apprese dai documenti che la 3M e la DuPont avevano condotto studi medici segreti sul PFOA per più di quarant'anni. 
Nel 1961, i ricercatori della DuPont avevano scoperto che le sostanze chimiche potevano aumentare le dimensioni dei fegati nei ratti e nei conigli. Un anno dopo riconfermarono i medesimi risultati negli studi con i cani. La struttura chimica peculiare del PFOA lo rende misteriosamente resistente alla decomposizione. Esso si lega anche alle proteine plasmatiche nel sangue, circolando così attraverso ogni organo del corpo.

Messico - I compagni del CIDECI-Unitierra annunciano che il Festival CompArte si farà

San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico, 8 luglio 2016

A tutt@ le/gli artisti che partecipano e assistono al CompARTE:
Alla Sexta nazionale e internazionale:
Sorelle e fratelli:

Vi mandiamo un saluto fraterno da parte di tutte le persone che formano il CIDECI-Unitierra.

Nell’ambito della celebrazione del Festival CompArte convocato da@ nostr@ compagn@ dell’EZLN, ed anche noi convint@ che “le arti sono una speranza per l’umanità…, (e) che è nei momenti più difficili, quando è più forte la delusione e l’impotenza, che le Arti sono le uniche in grado di celebrare l’umanità” (Comunicato EZLN, 6/07/2016), vogliamo comunicarvi che abbiamo proseguito nei preparativi per potere celebrare questa condivisione nei giorni dal 23 al 30 luglio. La nostra comunità del CIDECI-Unitierra tiene le sue porte aperte per ricevere tutte le persone, popoli e collettivi che hanno accolto nel loro cuore l’invito a venire in queste terre a condividere esperienze di arte, lotta e speranza.

Fin dal momento della convocazione al CompArte abbiamo sentito la gioia di apportare il nostro granello di sabbia affinché questo si celebrasse. Contate su tutta la nostra volontà e capacità di accogliervi nel miglior modo possibile. Vi aspettiamo.

Coraggio!

CIDECI-Unitierra

P.S. (1) Le/I partecipanti ed assistenti già registrati, potranno ritirare gli accrediti presso il CIDECI-Unitierra a partire dal 18 luglio dalle ore 10:00 AM alle ore 8:00 PM.

(2) Le/Gli assistenti ancora non iscritti, potranno registrarsi direttamente sempre presso il CIDECI-Unitierra, sempre dalle ore 10:00 AM alle ore 8:00 PM.




Traduzione “Maribel” – Bergamo

venerdì 8 luglio 2016

Messico - IL FESTIVAL CompARTE E LA SOLIDARIETÀ

IL FESTIVAL CompARTE E LA SOLIDARIETÀ

Luglio 2016

Compañeroas della Sexta:
Artisti dei 5 continenti:
Insegnanti in Resistenza:

Come già sapete, abbiamo deciso di sospendere la nostra partecipazione al festival CompArte. Ovvio che, per chi sappia leggere con attenzione, non abbiamo detto che è sospeso il festival. Semplicemente, quel che abbiamo fatto è avvisare che noi zapatiste e zapatisti non potremo condividere attivamente. E perciò, a chi pensava a questo e la qual cosa lo porta a non partecipare, dicevamo quindi di scusarci perché lo sappiamo che ha affrontato delle spese. Nessuno deve dare ordini alle Arti. Se c’è un sinonimo di libertà, forse l’ultimo appiglio di umanità in situazioni limite, sono le arti. Noi zapatiste e zapatisti non possiamo, né dobbiamo, né ci è minimamente passato per la testa, dire alle lavoratrici e ai lavoratori dell’arte e della cultura quando debbano creare e quando no. O peggio ancora, imporre loro un tema e replicare, ora con l’alibi dei popoli originari in ribellione, “rivoluzioni culturali”, “realismi” o altre arbitrarietà che nascondono soltanto un commissario e poliziotto che determina quale sia la “buona arte” e quale no.

No, sorelle, fratelli e sorelli artisti. Per noi zapatiste e zapatisti le arti sono una speranza dell’umanità, non una cellula militante. Pensiamo invece che nei momenti più difficili, quando cresce la disillusione e l’impotenza, le Arti siano le uniche capaci di celebrare l’umanità.

Per noi zapatiste e zapatisti voi, insieme alle scienziate e scienziati, siete tanto importanti che non immaginiamo alcun domani senza la vostra opera.

Ma questo sarà il tema di una qualche lettera successiva.

Quel che ora vogliamo è assolvere a un impegno verso di voi. Perché dal 15 giugno 2016, data finale per la registrazione, avevamo preparato un resoconto per comunicarvi come sarebbe stato il Festival CompArte. Disgraziatamente, la situazione nazionale si è fatta tesa (a causa dell’irresponsabilità del bambino con la scatola di fiammiferi che sta nella SEP) e lo abbiamo posposto finché è arrivata la decisione che vi abbiamo già trasmesso.

In ogni caso, è bene che sappiate come sarebbe stato il CompArte. In forma sintetica:

Si sono registrati 1127 artisti nazionali e 318 di altri paesi.

Gli artisti nazionali sono originari di:

Aguascalientes
Baja California
Baja California Sur
Campeche
Chiapas
Chihuahua
Colima
Coahuila
Ciudad de México (Ex DF)
Durango
Estado de México
Guanajuato
Guerrero
Hidalgo
Jalisco
Michoacán
Morelos
Nayarit
Nuevo León
Oaxaca
Puebla
Querétaro
Quintana Roo
San Luis Potosí
Sinaloa
Sonora
Tabasco
Tamaulipas
Tlaxcala
Veracruz
Yucatán
Zacatecas

Le artiste e gli artisti di altri paesi sono originari di:

EUROPA
Germania
Belgio
Danimarca
Scozia
Slovenia
Stato spagnolo
Finlandia
Francia
Grecia
Olanda
Inghilterra
Irlanda
Italia
Norvegia
Portogallo
Russia
Svizzera

AMERICA
Argentina
Brasile
Canada
Cile
Colombia
Costa Rica
Cuba
Ecuador
El Salvador
Stati Uniti
Guatemala
Honduras
Nicaragua
Perú
Porto Rico
Trinidad e Tobago
Uruguay
Venezuela

ASIA
Cina
Iran
Giappone
Russia
Taiwan

AFRICA
Marocco
Repubblica del Togo

OCEANIA
Australia
Nuova Zelanda

L’artista partecipante di maggiore età è un cantautore sugli 80 anni, anche se ne dimostra molti meno (di niente, Oscar), le cui canzoni che riscattano la cultura popolare e le sue parodie musicali (che sono superate soltanto dalla realtà) risuonano ancora nelle montagne zapatiste e, forse, anche nei luoghi in cui resistono gli insegnanti.

Gli artisti partecipanti di minore età sono: un bambino di 6 anni, che balla il son jarocho con il Collettivo Altepee; il Coro di bambini del Huitepec, le cui età vanno dai 3 agli 11 anni; una bambina, di dieci anni, che suona il cajón de tapeo con la Banda Mixanteña di Santa Cecilia: e una bambina, di dieci anni, che suona il piano.

ATTIVITÀ ARTISTICHE DA CONDIVIDERE:

ARTI SCENICHE:

BALLO FLAMENCO
BALLO TANGO
CIRCO
CLOWN
CANTASTORIE
DANZA
DANZA AEREA
DANZA CONTEMPORANEA
DANZA FOLCLORISTICA
READING DI POESIA
LIMA-LAMA
MAGIA
GIOCOLERIA
MARIONETTE
PAGLIACCI
PERFORMANCE
TEATRO
TEATRO D’OMBRE
TEATRO SENSORIALE
BURATTINI

ARTI PLASTICHE (O VISUALI):

ALEBRIJES
ARCHITETTURA
RICAMO
CARICATURA POLITICA
CARTAPESTA
COLLAGE
FUMETTO
RACCONTO GRAFICO
DISEGNO
DISEGNO GRAFICO
IMPAGINAZIONE
SCULTURA
FOTOGRAFIA
FOTOGRAFIA IN 3D
INCISIONE
GRAFFITI
ILLUSTRAZIONE
INSTALLAZIONE EFFIMERA
INTERVENTO SULLO SPAZIO
LIUTERIA
MASCHERE
PITTURA
PINTURA CORPORALE
PITTURA DI VASI
PITTURA MURALE
SERIGRAFIA
STENCIL
TATUAGGI

AUDIOVISIVE:

AUDIORACCONTI
CINEMA
DOCUMENTARIO
FOTOGRAFIA DIGITALE
VIDEO
VIDEO DOCUMENTARIO
VIDEOCLIP
VIDEOSCULTURA

MUSICA:

BANDA DI FIATI
BEAT-BOX
BLUES
BOLERO
BOSSANOVA
CANZONI DI PROTESTA
CHILENAS
CUMBIA
DUB
ETNOROCK
FUSION
GITANA
HIP-HOP
JAZZ
MUSICA AFRICANA
MUSICA DI CONCERTO
ARPA
PIANO
VIOLINO
TUBA
FLAUTO
CHITARRA
LIUTO
MUSICA DI GAITA
MUSICA DI HANG
MUSICA DI HOMPAK
MUSICA DI ORGANETTO
MUSICA TRADIZIONALE
PUNK
OPERA
RAP
REGGAE
ROCKABILLI
ROCK ALTERNATIVO
SKA
SON CUBANO
SON JAROCHO
SWING
TROVA

ALTRE ATTIVITÀ
LABORATORI (DI QUASI TUTTO QUEL CHE SI PRESENTERÀ)

Bisogna fare il CompArte? Ebbene, rispondere a questa domanda tocca a voi. E rispondere anche come, quando e gli eccetera di rito. Pensiamo che, se siete capaci di meravigliare il mondo con quel che fate, potrete ben organizzarvi per celebrare l’umanità dinanzi al sistema.

Noi zapatiste e zapatisti abbiamo sospeso (non cancellato) la nostra partecipazione. Pensiamo, crediamo, abbiamo la speranza che verranno giorni più limpidi in cui potremo farlo. Non sappiamo quando, magari per il compleanno del Congresso Nazionale Indigeno. Ma non vogliamo prendere impegni perché poi magari…

Il CompArte Zapatista

Tuttavia, approfittando che siamo in tema, vi informiamo anche su come sarebbe stata la nostra condivisione artistica. Be’, forse è meglio che vi raccontiamo questo: il Comandante Tacho ci ha detto, parola più parola meno: “C’è un compagno che ha fatto una canzone, cioè che l’ha fatta in tutto e per tutto, cioè il testo e la musica. E nel suo villaggio hanno fatto un gruppo musicale. Quando c’era la selezione nel caracol de La Realidad cioè dove vedevamo quanto fatto dai villaggi e man mano si selezionava chi sarebbe andato a Oventik, ho ascoltato la sua canzone sul tema della resistenza. Sia come sia, sup, questo compagno era appena un bebè quando ci siamo sollevati nel 1994 e spiega la resistenza meglio di me con la sua canzone. Quasi non sapevo se applaudire o prendere il quaderno degli appunti. Ora sì che affilano il rasoio”. Il Comandante Zebedeo ci racconta anche: “un compagno mi si è avvicinato e mi ha detto che la situazione è bella incasinata, che lui credeva che forse non si farà perché i maestri sono sotto forte attacco. Ma che lui è contento perché, ha detto, “io non sapevo di poter cantare, ora invece so di poter cantare e fare persino le mie canzoni in cui racconto del nostro modo di essere zapatisti. Anche se non ci sarà il festival, sono contento. E poi, magari stavolta no, però niente niente un’altra volta sì”.

E se voi, artisti, compagni della Sexta, cercate di immaginarvi come sarebbero state le partecipazioni artistiche zapatiste, allora qui vi mettiamo un video. Magari un altro giorno ne metteremo altri, o foto, perché ‘sta roba di internet ci dà del filo da torcere. Il balletto è creato da un collettivo della Zona de Los Altos, nel Caracol di Oventik. Non sappiamo se si dice balletto o coreografia, ma si chiama resistenza e la musica è un mix del pezzo di Mc Lokoter, “Esta tierra que me vio nacer”, e di un pezzo ska del gruppo spagnolo che si chiama SKA-P, “El Vals del Obrero”. Il significato del balletto lo spiega la maestra di cerimonia. Il video è stato prodotto da “Los Tercios Compas” in una delle presentazioni alla selezione di Oventik, ormai più di due mesi fa (ovvero, non abbiamo sospeso per il fatto di non essere preparati). Eccolo. Saltellare saltellare eh eh!
Bene, mentre recuperiamo il fiato, vi diciamo, per quanto possibile in dettaglio, il sostegno materiale che, come segnale di solidarietà, rispetto e ammirazione, consegneremo agli insegnanti in resistenza in diversi punti del Chiapas, Messico.

Ma prima…

Avrebbero partecipato artisti tojolabal, zoque, mame, chol, tzetal, tzotzil e meticci dei 5 caracoles, così come escuchas e uditori delle basi d’appoggio zapatiste.

Dal Caracol di Roberto Barrios (zona nord de Chiapas): 254 artisti e 80 escuchas-videntes.
Dal Caracol di La Realidad (zona Selva Fronteriza): 221 artisti e 179 escuchas-videntes.
Dal Caracol di La Garrucha (zona Selva Tzeltal): 311 artisti e 99 escuchas-videntes.
Dal Caracol di Morelia (zona Tzotz Choj): 276 artisti e 88 escuchas-videntes.
Dal Caracol di Oventik (zona Los Altos de Chiapas): 757 artisti e 1120 escuchas-videntes.
In totale: 1819 artisti e 1566 escuchas-videntes. Totale complessivo: 3385 uomini, donne, bambini e anziani basi d’appoggio zapatiste.

L’Alimentazione come arte della resistenza

I fondi per gli artisti zapatisti variavano a seconda del caracol, perché da alcune parti alcune cose si recuperano a prezzo più caro o più economico. Ma la spesa procapite per l’alimentazione era di 12,08 pesos per artista zapatista al giorno. Tutto quel che si era messo assieme per la nostra partecipazione, contando i 5 caracoles, raggiungeva la quantità di $ 290000,00 (duecentonovantamila pesos nazionali). Chiaro, prima della prossima svalutazione… ehm, sì, scusate, niente spoiler.

Da dov’è uscita la grana? Dalla registrazione all’INE? Dal programma PROSPERA? Dal crimine organizzato o disorganizzato – cioè dal malgoverno? Da qualche ONG? Da una potenza straniera interessata a fomentare le Arti per destabilizzare la “tranquillità” in Messico? No, compagni, la grana è uscita dal lavoro dei collettivi di produzione nei villaggi, regioni e zone, così come dai MAREZ e Giunte di Buon Governo. Ovvero è grana pulita, ottenuta come la ottiene l’immensa maggioranza del popolo del Messico e del mondo: dal lavoro.

E’ tanto o poco?

Be’, il consumo medio GIORNALIERO in alimentazione di un artista zapatista, per esempio di Roberto Barrios, nei sette giorni che sarebbe durata la nostra condivisione è di:
171 grammi di fagioli
50 grammi di riso
21 millilitri di olio
0,02 di sacchetto di minestra
20 grammi di zucchero
8 grammi di sale
1.17 tostada.

Ebbene, e ora che si farà di tutto cio? Cosa doneranno agli insegnanti in resistenza?

La Solidarietà Zapatista

I compagni si sono organizzati per caracol per consegnare il sostegno secondo quanto segue:

Il caracol de La Realidad consegnerà agli insegnanti in resistenza quanto segue:
570 chili di fagioli
420 chili di riso
350 chili di zucchero
15 litri di olio
21 chili di sapone
21 chili di sale
28 chili di caffè
1571 chili di mais non transgenico
840 chili di tostadas
400 chili di pinole
5 recipienti per cucinare
5 mestoli
5 contenitori
4 cassette di medicinali

Una commissione del caracol di La Realidad consegnerà tutto ciò agli insegnanti in resistenza a Comitán, Chiapas, il 9 luglio 2016 alle…be’, quanto ci staranno ad arrivare.

Il caracol di Roberto Barrios consegnerà:
400 chili di fagioli
250 chili di riso
125 chili di minestra
24 chili di sale
24 litri di olio
15 chili di caffè
10 chili di sapone
3 chili di peperoncino
10 chili di cipolle
30 chili di pomodori
50 chili di zucchero
320 chili di pinole
620 chili di tostadas
1000 chili di chayote, patate dolci, yucca e banane.

Una commissione del caracol di Roberto Barrios consegnerà tutto ciò agli insegnanti in resistenza a Playas de Catazajá, Chiapas, il giorno 8 luglio 2016. E’ già andata una commissione e si sono già messi d’accordo con i maestri di lì per la consegna.

Il caracol di La Garrucha consegnerà:
300 chili di fagioli
150 chili di riso
150 chili di zucchero
20 chili di caffè
15 chili di sale
1 cassa di sapone
60mila tostadas.

Una commissione del caracol di La Garrucha consegnerà tutto ciò agli insegnanti in resistenza a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, il giorno 9 luglio 2016.

Il caracol di Morelia consegnerà:
1044 chili di mais non transgenico
500 chili di fagioli
300 chili di riso
250 chili di zucchero
25 chili di sale
1 cassa di sapone
25 chili di caffè
1 cassa d’olio.

Il caracol di Oventik consegnerà:
114584 tostadas (circa 300 chili)
1475 chili di fagioli
672 chili di zucchero
456 sacchetti di minestra (circa 97 chili)
206,5 chili di riso
68 chili di caffè
5 chili di pinole
48,5 chili di sale
12,5 litri d’olio
21 chili di pomodori
10 chili di cipolla
165 chili di verdura
20 chili di the.

Una commissione dei caracoles di Morelia e Oventik consegnerà tutto ciò agli insegnanti in resistenza a Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, il giorno 10 luglio 2016. La tostada non sarà consegnata tutta d’un botto perché è tanta e ammuffirebbe. Meglio prima un po’ e poi un altro po’.

In totale, i 5 caracoles consegneranno circa 10 tonnellate di alimenti di valore approssimativo di 290mila pesos messicani.

-*-

Così stanno le cose, compagni della Sexta e artisti e insegnanti in resistenza.

Orbene, se ci chiedete a noi zapatiste e zapatisti che ne pensiamo di com’è se venite o non venite, chiaramente vi diciamo: venite. Il Chiapas è bello. E ora è ancora più bello con la resistenza degli insegnanti che fiorisce per i cammini, le strade, le autostrade e le comunità.

Vi chiedete se, già che siete qui, potete farvi un giro nei caracoles? Certo che si può fare. Ma all’entrata, questo sì, vi chiederanno: “siete già andati a trovare i maestri in resistenza?”

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés. Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, luglio 2016

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

mercoledì 6 luglio 2016

Messico - Le lezioni di Giugno - Sospeso il festival CompArte

Le lezioni di giugno

Luglio 2016

Compagne, compagni e compagnei della Sexta in Messico e nel mondo:
Artisti dei cinque continenti:
Insegnanti in resistenza:

Riceviate tutti, tutte, tuttei, il saluto che vi mandiamo insieme alle comunità indigene zapatiste. Vi scriviamo questa lettera per parlarvi di ciò che abbiamo visto e ascoltato nel passato mese di giugno e per comunicarvi una decisione che abbiamo preso come zapatisti che siamo. Ecco.

Le lezioni di sopra

Nel mese di giugno, in una manciata di settimane, è stata impartita una vera lezione cattedratica che ci insegna e ci educa.

Si è messo a nudo, una volta di più, il carattere dello Stato in Messico: per ciò che si riferisce alla cosiddetta “Legge 3 di 3”, non appena i capitalisti hanno schioccato le dita, tutti i poteri istituzionali sono corsi a correggere ciò che non era gradito al loro padrone. Non soddisfatti di sapere che comandano, i grandi signori del denaro hanno mostrato, a chi volesse vederlo, chi decide realmente. Dalla Colonna dell’Indipendenza (per prendersi meglio gioco di ciò che rappresenta), con giacche e cravatte di marche esclusive, un pugno di padroni ha manifestato per dare una lezione di politica moderna. “Noi comandiamo” hanno detto senza parole, “non ci piace quella legge. Non abbiamo bisogno di morti, né di fare cortei, né di subire botte, umiliazioni, carcere. Non abbiamo nemmeno bisogno di manifestare. Se ora ci mostriamo è solo per ricordare a tutti i politici qual è il loro posto, a quelli che sono al governo e a quelli che aspirano a esso. E al proletariato, be’, solo perché si renda conto di quanto disprezzo ci causa”. Poi è successo quel che è successo: la legalità del sistema (chi la fabbrica, chi la pone in atto e chi la sanziona) ha mostrato la sua ragion d’essere: in una manciata di ore, le “istituzioni” governative hanno fatto a gara per chiedere scusa e cercare di rimediare al fastidio dei grandi signori. Come capoccia lesti nel servire i padroni, i governi si sono prostrati e hanno macchinato perché la legge si adeguasse ai disegni del sistema. “Nemmeno l’abbiamo letta”, balbettavano i legislatori mentre facevano la riverenza e si discolpavano servilmente.

Ma quando invece gli insegnanti in resistenza, e le comunità, movimenti, organizzazioni e persone che li appoggiano, hanno chiesto l’abrogazione della riforma educativa (in realtà è soltanto la piattaforma per la precampagna presidenziale dell’aspirante al ruolo di informatore di polizia, Aurelio Nuño), il, governo e i suoi padroni si sono detti disposti a tutto (cioè a usare la forza) per difendere “la legalità”. Con un’aura più isterica che storica, hanno rimarcato che la legge non si negozia. E lo hanno dichiarato poche ore dopo essersi umiliati dinanzi al potere del denaro… per negoziare la modifica di una legge.

Non si sono fatti scrupolo d’insistere nell’arbitraria imposizione di una riforma educativa che nemmeno hanno letto. Sarebbe bastato che avessero dato una lettura attenta perché si rendessero conto che di educativo non ha nulla. Non cessa di essere patetico che la classe politica, e i media che la accompagnano, dicano che difendono l’istituzionalità, le leggi e la giustizia, mentre si esibiscono impudicamente.

A giugno la lezione di sopra è stata chiara e cinica: in Messico il capitale comanda, e il governo obbedisce.

Le lezioni di sotto

Dal canto loro, le maestre e i maestri aggregatisi intorno al Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (CNTE), così come le famiglie e comunità che li appoggiano, hanno dato anche loro lezioni nei cammini, nelle strade e autostrade del Messico di sotto.

In poche settimane hanno smontato tutta la scenografia costruita dalla classe politica, dopo vari anni e con molti soldi, per mascherare, sotto il nome di “Patto per il Messico”, la nuova guerra di conquista che si sintetizza nelle cosiddette “riforme strutturali”.

Il degno movimento di resistenza degli insegnanti ha anche posto in evidenza la profonda decomposizione delle istituzioni governative federali, statali e municipali. La corruzione, l’inefficacia e la goffaggine governative non si possono più occultare dietro il maquillage che, servili, forniscono i media prezzolati e le reti sociali manipolate con la stressa imperizia con cui governano.

Per cercare di manipolare il “malumore” sociale e dirigerlo contro l’insegnamento democratico, i governi e i grandi mezzi di comunicazione prezzolati hanno montato un’impressionante (e inutile) campagna di calunnie e menzogne: i poveri non hanno benzina, birra, bevande, dolci e leccornie, pane quadrato, e il tutolo tostato che viene venduto come “farina di mais”. E la colpa è dei maestri. Ma non perché non si adeguano, ma perché non sono grandi proprietari.

Almeno qui in Chiapas, il presunto esaurimento di benzina non è stato che una sfacciata speculazione degli imprenditori del ramo, che sapevano che il prezzo sarebbe salito il venerdì e dal martedì hanno iniziato a mettere in giro voci, sulle reti sociali, di scarsità. Alle pompe di benzina, curiosamente, c’era solo il combustibile chiamato diesel, che è quello che non sarebbe aumentato di prezzo. I distributori hanno detto che c’era, ma “il padrone ha detto di razionarlo e poi di mettere i cartelli che non ce n’è. E hanno messo mano alle pompe, cosicché i litri non fossero litri ma meno. Ma questa è roba di prima, anche di quando non c’erano blocchi stradali”.

Allo stesso modo, la scarsità di alimenti e prodotti deperibili si è data soltanto nei grandi supermercati. Nei mercati popolari si continuava a offrire frutta, legumi, mais, fagioli, riso, carne, uova, senza che fossero aumentati i prezzi. Certo, sono iniziati a scarseggiare prodotti come le bibite gassose in bottiglia, le sigarette, le birre e i liquori, così come ciò che si conosce comunemente come “cibo-spazzatura”.

Gli “interessi dei terzi” a cui si riferisce il governo quando dice che sono colpiti, sono né più né meno gli interessi delle grandi imprese del capitale commerciale.

Mentre i governanti, i media e le reti sociali che li accompagnano si sgolavano a dire che il movimento degli insegnanti era soltanto negli stati più poveri, la cui arretratezza sociale è ovviamente colpa della CNTE, è successo che a Monterrey, Nuevo León, migliaia di maestre e maestri abbiano preso, non una ma varie volte, le strade di quella che in altri momenti fu la tana del grande capitale nazionale, e hanno chiesto l’abrogazione della riforma educativa.

Quando gli insegnanti in resistenza hanno deciso di aprire i blocchi ad auto singole, mezzi pubblici, autobotti e trasporti locali, ma non ai camion delle grandi imprese, i capoccia hanno ruggito furiosi, hanno minacciato esigendo che lasciassero passare le merci che alimentano il grande capitale, seppure non transitasse “la plebe”.

E nei media prezzolati: grande diffusione per gli aerei della SEDENA usati come camion distributori di Maseca (non di mais), con cui iniziava il volo la precampagna di José Antonio Meade per sostituire Aurelio Nuño come precandidato presidenziale; mentre si occultava che altri aerei Hércules trasportavano blindati antisommossa e truppe della polizia federale in Chiapas e Oaxaca… e Guerrero… e Michoacán… e Tabasco… e Nuevo León?

Ah, la ribelle geografia della ribellione!

No. A quelli di sopra non interessano né l’educazione né i bambini. Suvvia, nemmeno la presunta riforma educativa interessa loro. Né il triste poliziotto che spaccia nella Segreteria di Educazione Pubblica, né alcuno dei legislatori che hanno votato la riforma, l’ha mai letta. E quando i maestri dicono loro che il tale o talaltro articolo è lesivo, se ne vanno nervosi dai loro consiglieri e guardaspalle, non solo perché non sanno cosa dicano tali articoli, ma anche perché non sanno che significhi la parola “lesivo”. L’unica cosa che importa loro è mettersi in fila per la successione, è vedere a chi tocca la candidatura presidenziale nel PRI o nel resto dei partiti politici.

Ma nonostante le minacce, le botte, la prigione e l’indignante massacro di Nochixtlán, Oaxaca, i maestri e le maestre resistono. Ma non più soli.

Quando ci si sarebbe aspettati che, dopo una minaccia, diminuisse la presenza di persone nei blocchi e nei picchetti, quel che succede è che… arrivano più maestri… e gente dei quartieri, delle colonie, dei villaggi e delle comunità!

Così, gli insegnanti in ribellione e il popolo che li appoggia, hanno concluso la loro lezione pubblica, gratuita e laica del mese di giugno e ci hanno dato una lezione più completa: in Messico il capitale comanda e il governo obbedisce… ma il popolo si ribella.

La cosa più importante

Quando, come zapatisti che siamo, diciamo che rispettiamo un movimento, vuol dire proprio questo: che lo rispettiamo. Vuol dire che non ci immischiamo nei suoi modi e tempi, nella sua struttura organizzativa, nelle sue decisioni, strategie e tattiche, nelle sue alleanze e decisioni: tutto ciò che sta nel valutare e decidere chi lo forma.

Che votino o no, che si alleino o no con partiti politici, dialoghino o non dialoghino, negozino o non negozino, si accordino o non si accordino, siano credenti o atei, magri o grassi, alti o tarchiati, belli o brutti, meticci o indigeni. Li appoggiamo perché la loro lotta è giusta. E il nostro sostegno, anche se piuttosto limitato, è incondizionato. Ovvero, non ci aspettiamo niente in cambio.

Sfortunatamente, per nostra essenza come EZLN, la maggior parte delle volte il nostro sostegno non può andare oltre la parola, e non sono poche quelle che devono essere in silenzio. Nel caso degli insegnanti in resistenza, hanno già abbastanza accuse e pressioni, perché ora li accusino di essere “manovrati” o “infiltrati” da organizzazioni politico-militari.

Perciò lo sappia bene tutto lo spettro politico: tutto ciò che hanno ottenuto gli insegnanti in resistenza è stato, ed è, attraverso il proprio impegno, le proprie decisioni e la propria perseveranza. Sono essi, i maestri di gruppo, ad aver spiegato la loro lotta, ad aver parlato in assemblee comunitarie, in quartieri e colonie, ad aver convinto. A differenza di altre mobilitazioni, ora gli insegnanti si sono voltati a guardare verso il basso e verso di qua hanno rivolto il loro sguardo, il loro udito e la loro parola. E’ stata la loro resistenza a convocare in appoggio voci tanto distanti le une dalle altre. Be’, almeno così è stato, ed è, in Chiapas. Al posto di calunniare o dare la loro nuova versione della “teoria del complotto”, i servizi d’intelligence (seh!) governativa, così come i mezzi di comunicazione che si nutrono di essi, dovrebbero apprendere dalle lezioni delle maestre e dei maestri.

Le nostre limitazioni economiche (prodotto della nostra ribelle resistenza, non dei blocchi stradali degli insegnanti) ci impediscono, al momento,di mandare alle maestre e ai maestri, e alle comunità che li sostengono, qualcosa di sostanzioso (per esempio, mais e non maseca) che allevi le difficili condizioni nelle quali resistono a tutte le guerre contro di loro.

Tantomeno possiamo fare grandi mobilitazioni, perché non abbiamo sovvenzione economica istituzionale, e ogni movimento, seppure minimo o simbolico, dobbiamo suffragarlo con la nostra limitatissima economia.

Sì, lo sappiamo. Ora ci potete dire lo slogan che “Questo sostegno non si vede”. Ma noi zapatiste e zapatisti non vogliamo che si veda, né che votiate per noi, né che vi affiliate, né che ingrossiate la lista di sigle in cui solitamente si convertono i “fronti” e “frontelli”, né che ci “paghiate” in qualche modo. Tantomeno esigiamo o ci aspettiamo “reciprocità”.

Noi zapatisti e zapatiste vogliamo solo che le maestre e i maestri sentano che li rispettiamo, che li ammiriamo e che siamo attente e attenti, prendendo appunti sulle lezioni che stanno dando.

Pensiamo che si debba continuare a resistere. E oggi, in questa geografia e in questo calendario, la resistenza ha il volto, la decisione e la dignità degli insegnanti in ribellione.

Per dirlo più chiaramente: per noi zapatiste e zapatisti la cosa più importante ora, in questo calendario e dalla limitata geografia nella quale resistiamo e lottiamo, è la lotta dell’insegnamento democratico.

La lezione dei popoli originari
Chissà che si imponga il dialogo con rispetto e verità, e non come simulazione che nasconde i preparativi per nuove misure repressive. Chissà che si dia senza le bravate e i pugni sul tavolo cui va affetto chi crede di comandare.

Chissà che il gruppo governante, il grande capitale e i media che li accompagnano e servono smettano di giocare a gettare fiammiferi accesi nella prateria che hanno seccato con le loro politiche, corruzioni e menzogne.

Chissà che quelli che stanno sotto smettano di pensare che la tormenta spegnerà il fuoco che essi, e nessun altro, si impegnano a ravvivare. Chissà che finiranno per vedere che la tempesta finirà per affogare anche loro e che, allora, non ci sarà editorialista di stampa scritta o elettronica, né hashtag, né rete sociale, né programma televisivo o radiofonico che gli serva da salvavita.

Chissà, ma per nostra esperienza no, non sarà così.

I popoli originari, i compagni e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno, lo hanno già stabilito chiaramente nel segnalare che parliamo dalla tempesta.

“Dalla tempesta”, queste sono state le parole scelte dalle nostre sorelle e dai nostri fratelli nel dolore, nella rabbia, nella ribellione e nella resistenza, che si chiamano in comune Congresso Nazionale Indigeno. Con quelle sole tre parole, il CNI ha dato una lezione di calendari e geografie ignorati dalle reti sociali, dai media prezzolati e liberi, e dagli intellettuali progressisti. Noi zapatiste e zapatisti abbiamo sentito che tali parole erano anche le nostre e perciò abbiamo chiesto al Congresso Nazionale Indigeno di firmare insieme.

Perché per noi popoli originari le minacce, le menzogne, le calunnie, le botte, il carcere, le sparizioni e gli omicidi sono parte della quotidianità da anni, lustri, decadi, secoli. Perché quel che ora stanno soffrendo gli insegnanti in resistenza, noi popoli originari, e i nostri quartieri, nazioni e tribù, lo stiamo soffrendo senza che nessuno, eccetto la Sexta, si volti a guardare.

Perché da tempo, dai nostri campi, valli, montagne, noi popoli originari abbiamo visto e conosciuto quel che sarebbe venuto per tutti, per tutte, per tuttei. Anche per chi ci guarda con disprezzo, o come oggetti di scherno o elemosina (è lo stesso), o come sinonimo di ignoranza e arretratezza, e anche per chi, a corto di vocabolario e d’immaginazione, riprende la parola “indio” come insulto.

A tutte, tutti, tuttei, diciamo: se prima non lo avete visto, guardatelo ora. Guardando e ascoltanto ciò che fanno contro le maestre e i maestri, pensate “dopo tocca a me”.

Perché dopo i lavoratori dell’educazione di base, toccherà ai pensionati, a quelli del settore della sanità, ai burocrati, ai piccoli e medi commercianti, ai trasportatori, agli universitari, a quelli dei mezzi di comunicazione, a tutti i lavoratori della campagna e della città, indigeni o non indigeni, rurali o urbani.

Forse questa è la conclusione a cui giungono le famiglie che, senza appartenere a organizzazioni, partiti o movimenti, appoggiano gli insegnanti. E’ perché si dicono “dopo tocca a me”, che si dà il sostegno popolare ai maestri. Non importa quanto si contorca e gesticoli Aurelio Nuño vociferando che i maestri in resistenza attentano contro tali famiglie e contro i loro figli. Queste famiglie appoggiano il movimento degli insegnanti. E continueranno a farlo, sebbene i media e la macchina prezzolata nelle reti sociali si sforzino, inutilmente, a farsi eco dei poveri argomenti che camuffano la repressione in marcia.

Come se la lezione di sotto, senza volto né sigle, fosse: “Se là sopra il tempo è finito, qua sotto quel che è finito è la paura”.

Una decisione difficile

E’ il tempo delle maestre e dei maestri in resistenza. E’ necessario e urgente stare con loro.

Durante lunghi mesi e in condizioni estremamente difficili, le basi d’appoggio zapatiste si sono preparate, hanno provato più e più volte, e hanno creato espressioni artistiche che, forse, avrebbero sorpreso più di uno, una, unoa, per il festival CompArte.

Ma noi zapatiste e zapatisti pensiamo che è talmente importante il sostegno agli insegnanti, che abbiamo deciso…

Primo. – Sospendere la nostra partecipazione al festival CompArte, sia nel caracol di Oventik che nel CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, che si sarebbe celebrato tra i giorni 17 e 30 luglio 2016.

Secondo. – Donare agli insegnanti in resistenza i soldi e gli alimenti che avevamo messo da parte e accumulato per il nostro trasferimento a Oventik e al CIDECI, per la nostra manutenzione durante il festival e per il ritorno alle nostre comunità.

Terzo. – Ai 1127 artisti di tutti gli angoli del Messico, e ai 318 artisti di altri paesi (tra i quali si contano provenienti da America, Europa, Asia, Africa e Oceania) registrati per il CompArte chiediamo sinceramente di scusarci e di capirci. Sappiamo che non sono poche né le spese né lo sforzo che vi sono costate, oltre ad aver dovuto adeguare le vostre agende, per venire a condividere le vostre creazioni con noi zapatiste e zapatisti. Speriamo che ciò che ora resta in sospeso possa essere celebrato più avanti. Speriamo che comprendiate che è una valutazione etica ad averci portato a questa decisione. Abbiamo analizzato tutte e ciascuna delle opzioni e siamo giunti alla conclusione, erronea o no, che questa sia una maniera di sostenere la lotta delle maestre, dei maestri e delle comunità. Perché non siamo disposti a essere crumiri o a contendere agli insegnanti un protagonismo che si sono guadagnati con dolore e rabbia.

Vi chiediamo rispettosamente che, nella misura delle vostre possibilità, modi e tempi, inalberiate la vostra arte con le maestre e i maestri in resistenza, nelle loro attività, picchetti, cortei, meeting e dove il Coordinamento Nazionale di Lavoratori dell’Educazione e il suo senso artistico giudichino pertinente.

Chiediamo anche allei compagnei della Sexta che, in base alle proprie possibilità, calendari e geografie, creino gli spazi e le condizioni affinché le Arti e la loro sfida irriverente di immaginare altri mondi, possano celebrare l’umanità, i suoi dolori, le sue gioie, le sue lotte. Perché questo, e non altro, è l’obiettivo di CompArte.

Noi zapatiste e zapatisti staremo nei nostri luoghi, attenti a quel che accade, a quel che si dice e a quel che si tace. Continueremo a guardare con speranza e rispetto tutte e ciascuna delle resistenze che sorgono dinanzi alla macchina depredatrice.

Ora metteremo da parte i nostri strumenti musicali, le nostre pitture, i nostri copioni teatrali e cinematografici, i nostri vestiti per i ballabili, la nostra poesia, le nostre divinazioni (sì, c’era uno spazio per le divinazioni), le nostre sculture e tutto ciò che, pensando a voi, avevamo preparato da condividere.

Metteremo da parte tutto questo ma, come zapatisti che siamo, non riposeremo.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés. Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, Luglio 2016.

Dal quaderno di Appunti del Gatto-Cane:

Che maniera di irritare e polarizzare tutto un paese! Chi vi consiglia? Gli stessi che hanno detto che avrebbero vinto nelle elezioni statali, che non ci sarebbe stata la Brexit e che, dopo il voto, l’impatto sarebbe stato minore, e che finché la barca va lasciala andare? O gli imprenditori nascosti dietro a “Mexicanos Primero”? Be’, se quelle menti sono quelle hanno fatto la riforma educativa, ora avete una dimostrazione della loro grande capacità di “analisi”. Vi hanno detto che Oaxaca è un tipo di formaggio? Che Chiapas è il nome della tenuta dei Velasco, dei Sabines, degli Albores? Che Guerrero ha i suoi confini marcati dall’autostrada del Sole e dai resort alberghieri? Che nel Michoacán ciò di cui bisogna aver cura è la farfalla Monarca? Che nel Nuevo León non succede nulla? Che Tabasco è un eden? Che i lavoratori della Sanità sopporteranno in silenzio? Che la Nazione intera si limiterà a sfogarsi con hashtag ingegnosi? Be’, a quanto pare state ricevendo lezioni di geografia nazionale: il cognome di Oaxaca è l'”Indomita”; Chiapas è la culla dell’EZLN, è dove il secolo XXI si è avvicinato, dove si è annunciata la fine di un mondo (il vostro), ed è dove la cultura, le scienze e le arti gridano ciò che tacciono i media prezzolati; Guerrero (e il paese intero) si chiama Ayotzinapa; nel Michoacán c’è un posto che si chiama Cherán e un altro che si chiama Ostula; e in tutti i punti cardinali c’è un sotto che non si arrende, che non si vende, che non zoppica. Se non cambiate la Riforma Educativa, almeno cambiate consiglieri. Ah, e dite a quelli di “Mexicanos Primero” che la realtà li ha già valutati: sono bocciati.

In fede.

Grrr, meow.

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

lunedì 4 luglio 2016

Canada - Cosa lega il CETA tra Canada e UE, TTIP tra Usa e Ue e TPP nel Pacifico?



E’ un gioco a scatole cinesi quello che incastra i grandi trattati di libero commercio che sanciscono parte delle nuove alleanze mondiali. Parte delle alleanze perché altri giochi altrettanto spediti si diramo dalla Cina, dalla Russia e dai Paesi del Golfo.
Restiamo in quel gioco di nuove regole che riguardano anche l’Europa
Se sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra Unione Europea e Stati Uniti, ancora ci sono frenate varie (il 14° Round negoziale si terrà tra l’11 e il 15 luglio a Bruxelles), che subiranno anche gli effetti della Brexit, viaggia spedito il CETA (Comprehensive and Economic Trade Agreement) tra Unione Europea e Canada. 
Così spedito che il "nostro" Ministro Calenda non esita a dichiarare inutile il passaggio al vaglio dei vari Parlamenti che il trattato dovrebbe subire.
Un ulteriore passaggio certamente non democratico, come denunciato dalla Campagna Italiana Sto TTIP, che si sta mobilitando per far cambiare posizione la Governo Renzi.
Il governo Italiano si aggrega alla Commissione Europea, che in nome della procedura del trattato di Lisbona, considerando il CETA puramente commerciale, vorrebbe che non se ne occupassero i parlamenti nazionali, e cioè che si usasse la formula "Eu only".
I sostenitori della tesi contraria tra cui Germania, Francia ed Austria dicono che trattandosi di un accordo misto, come sostenuto al Consiglio Europeo, deve passare al vaglio dei Parlamenti nazionali. 
Il 5 luglio la Commissione Europea deciderà se l’accordo di liberalizzazione commerciale tra Ue e Canada (CETA) potrà evitare l’esame dei Parlamenti nazionali o diventerà comunque operativo in parte prima di passarci.
Cosa c’entra il CETA con il TTIP?
I meccanismi di mercato che prevede il Ceta sono gli stessi del TTIP e cioè abbattimenti di dazi e dogane, libertà delle imprese canadesi di agire nel mercato europeo, passando sopra ogni regola, da quelle sul lavoro a quelle alimentari, a quelle ambientali. Il tutto condito dalla possibilità per le company di fare causa allo stato che dovesse far valere le proprie normative in qualsiasi campo.
Ora se il TTIP rallenta cosa vieterà alle imprese americane con sede in Canada intanto di agire nel mercato europeo con le proprie consociate canadesi? Niente!
Cosa vieta ad imprese che già agiscono con il quadro del NAFTA, ’accordo di libero commercio del 1994 tra Stati Uniti, Canada e Messico, immortalato dalla stretta di mano dei"Los tres amigos", Obama, Pena Nieto e Trudeau in questi giorni a Ottawa, di agire con le loro filiali canadesi verso l’Europa, dopo la ratifica del CETA? Niente!
Facciamo un passo ancora oltre.
Cosa lega CETA, TTIP e TPP (Trans-Pacific Partnership Agreement) siglato il Il 4 febbraio 2016 a Auckland, Nuova Zelanda tra Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti, Vietnam e che dovrà essere approvato dai rispettivi parlamenti entro due anni?

Questa intricata, alla parvenza, rete di trattati, che giustamente sollevano proteste in tutto il mondo, sono nè più e nè meno lo specchio del tentativo di adattare le norme formali all’epoca del mercato unico globale del capitalismo finanziario. 
Superate le vecchie strutture formali della prima fase della globalizzazione ogni gruppo di contendenti cerca di restare nel gioco. 
Quel che accade ad incastri multipli tra CETA, TTIP e TPP accade anche in altri contesti con Cina, Russia, Paesi del Golfo.
Vecchie e nuove potenze si riposizionano cercando di riarticolare il loro ruolo in pezzi di mercato. 
Se il capitalismo finanziario è fatto di saccheggio di vite e territori, senza nessuna mediazione, lo stesso vale per le regole formali disegnate da chi vuole stare nel gioco. 
Ed è così che il tratto distintivo di questi trattati è la diminuzione o meglio azzeramento di ogni barriera di diritti, qualità, conquiste. 
Il tutto accompagnato da mancanza di trasparenza e se possibile di aspetti di democrazia formale, come appunto la discussione parlamentare nel caso del CETA, così come sostenuto da Calenda in nome delle mirabolanti possibilità di ripresa economica insita nel spezzare le barriere tra Unione Europea e Canada.
Montreal dal 8 al 14 agosto si svolgerà il Forum Sociale Mondiale noi ci saremo per conoscere direttamente chi dall’altra parte dell’Oceano lotta insieme a noi per costruire alternative alle logiche di saccheggio e devastazione globali che danno vita alla giungla dei nuovi trattati commerciali.
Per partecipare con noi contattaci a padova@yabasta.it
In Europa mobilitiamoci insieme a chi si oppone negli Usa dal 11 al 15 luglio in occasione del 14° Round negoziale a Bruxelles del TTIP e perchè la decisione sul CETA passi ai parlamenti.

TORNIAMO AL CETA
Proviamo a vederlo dall’altra parte, con gli occhi di chi in Canada si sta opponendo al Trattato.
Ad agosto a Montreal si svolgerà il Forum Sociale Mondiale. Al di là delle ritualità scontate di questo avvenimento che si ripropone ogni due anni, quasi in forma immutabile, noi ci saremo per conoscere direttamente soprattutto i movimenti canadesi e per avere uno sguardo attento a quel che si muove in tutto il continente americano da nord a sud.
In Canada, le elezioni del 2015 hanno segnato una discontinuità con la vittoria di Justin Trudeau contro il conservatore Harper.
I movimenti ambientalisti e sociali non hanno certo firmato una cambiale in bianco con il nuovo governo. Ed infatti continuano le lotte e le mobilitazioni perchè si vada fino in fondo per cambiare le politiche di devastazione ambientale e territoriale portate avanti da Haper con l’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose e il fracking. 
In prima fila le popolazioni indigene, First Nation, che non si accontano del riconoscimento formale delle violazioni fatte in passato, ma si oppongono a quelle dell’oggi, come quelle estrattiviste per il petrolio, i minerali e collegate al gas. Naomi Klein nel suo ultimo libro "Una Rivoluzione ci salverà" ha ampiamente parlato della centralità delle loro lotte.
Emblematica l’occupazione di Lelu Island per impedire la costruzione degli impianti della Pacific NorthWest LNG. Si tratta di strutture per il raffreddamento del gas che, in arrivo dai pozzi dell’entroterra lungo un migliaio di km di gasdotti, verrebbe liquefatto a -162°C e imbarcato su navi cisterna dirette in Cina.
Enorme è la battaglia che si sta combattendo visto il peso che l’estrattivismo ha nell’economia canadese a livello locale e internazionale: la quotazione globale delle imprese d’estrazione, tassello fondamentale della finanziarizazione del settore, non a caso avviene alla borsa di Vancouver. 
All’interno di queste tensioni tra movimenti di base e governo c’è anche il CETA.
Trudeau infatti è favorevole. 
Movimenti indigeni, reti sociali sono contarie.

Il Governo canadese ha "ceduto" accettando la ridefinizione dell’ISDS. L’arbitrato sarà nelle mani di tre giudici, come proposto dall’Europa, ma tutto questo è forma e non viene modificato l’assetto di fondo che permette alle multinazionale di denunciare e far pagare il governo che dovesse cercare di porre dei limiti alla loro azione.
Per il resto Trudeau continua a dichiarare che il "CETA sarà una grande opportunità per l’economia canadese". 
Per capire di cosa parliamo va ricordato che nel 2014 l’UE è stata il secondo partner commerciale del Canada, dopo gli Stati Uniti, d’altro canto ha assorbito merci canadesi per un valore di 27,4 miliardi di euro. Gli scambi riguardano non solo macchinari, mezzi di trasporto e prodotti chimici ma anche servizi come viaggi, assicurazioni e comunicazioni.
Chi si oppone al CETA in Canada lo fa partendo da un’esperienza molto concreta: i danni causati dal Nafta, l’accordo di libero mercato tra Stati Uniti, Canda e Messico.
L’esperienza dimostra come questi accordi ledano diritti, ambiente e democrazia. In più il CETA permetterà alle multinazionali americane, anche in assenza del TTIP di operare in Europa, tramite le filiali in Canada e lo stesso dicasi per le imprese del TPP.
Ecco il video, prodotto dal Le Conseil des canadiens, dedicato a noi europei i canadesi per aiutarci a capire cosa succederà.

Le motivazioni che sono alla base delle contestazioni al CETA (Accordo Canada-Ue) e al TPP (Accordo Transpacifico) in Canada partono dalle stesse radici che guidano l’opposizione in Europa al CETA e al TTIP (Accordo Usa- Ue): devastazione dei territori, delle comunità e dei diritti, come spiegano nel Blog della campagna
Vedi rapporto Mercantizzare la democraziaa cura de Le Conseil des canadiens

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!