giovedì 10 febbraio 2011

Egitto: risposte ad alcune domande


Mappa Egittodi Lorenzo Trombetta

Allontanatomi fisicamente da piazza Tahrir, ripercorro a freddo i primi dodici giorni delle manifestazioni del Cairo cercando di rispondere a quesiti spesso formulati da chi sta in Italia.  
1) I protagonisti della rivolta sono giovani senza un'identità politica e ideologica.Il cuore della protesta è formato dai giovani, con età compresa tra i venti e i 35 anni. Studenti universitari, ma anche semplici lavoratori, disoccupati, poveri che vivono di espedienti.
Sono questi giovani che costituiscono il nerbo degli "oltranzisti", ovvero di quelli che rimangono a presidiare piazza Tahrir anche quando l'attenzione mediatica sembra calare e le opposizioni fanno le prove di negoziati con il regime.
Inoltre, sono questi giovani ad aver dato il via alla protesta e ad averla alimentata dal 25 gennaio trasformandola in una mobilitazione popolare senza precedenti per l'Egitto.
Attorno a questi giovani, ci sono giornalisti e avvocati prima di tutto. A cui si sono uniti i medici, i magistrati, gli insegnanti, in parte gli operai delle industrie.
L'età di queste persone è molto varia e va dai 30 ai 65 anni. Dal 26 gennaio, ad esempio, ad aver tenuta accesa la brace della manifestazione del giorno prima, sono stati due sit-in organizzati dal sindacato dei giornalisti e degli avvocati.
Raduni di appena decine di persone, si sono poi trasformati in cortei di migliaia di persone che hanno tentato di raggiungere, allora invano, Tahrir.
Nel corso delle manifestazioni dei giorni successivi e fino alla "battaglia" per la conquista di Tahrir della notte tra venerdì 28 e sabato 29, ho visto anche moltissimi anziani e famiglie unirsi in maniera spontanea alle proteste. Ma certo non sono questi i protagonisti della rivolta. Da quando la piazza è stata conquistata, si sono uniti in maniera massiccia i sostenitori dei Fratelli musulmani, uomini e donne, lavoratori di classi medie e medio-basse. 
2) Abili con i social network, ma anche con il passaparola. 
Fanno uso dei social network con facilità, senza aver avuto bisogno di istruzioni dall'estero, ma sono stati anche abili nel ripristinare i metodi di comunicazione tradizionali - in primis il passaparola, ma anche le radio clandestine - quando il regime ha oscurato per giorni cellulari e internet. 
3) Emergono nuovi leader che non vogliono esser definiti "leader". 
All'interno della mobilitazione dei giovani ci sono dei leader, che preferiscono definirsi "coordinatori" (munassiqin). Sono per lo più basati al Cairo. Originari o comunque cresciuti ed educati nella capitale. La parola d'ordine è "nessun leader", perché questo è un concetto percepito dai manifestanti come proprio del vecchio regime e delle stesse opposizioni politiche, che loro rifiutano.

Ripetono: "l'unico nostro
leader è il popolo". Esiste una "Commissione del sistema del movimento dei giovani" (Lagnat nizam harakat ash-shabab) formata da trentenni, per lo più lavoratori e non più studenti, appartenenti a un élite di liberi professionisti: giornalisti, avvocati, operatori turistici, medici, editori. Ci sono studenti, molti sono però freschi laureati o laureandi. 
4) Vince il modello nazionalista. Marginale finora il discorso islamista. 
Il loro modello è essenzialmente quello nazionalista. Il collante della loro mobilitazione è l'essere egiziani, "al di là delle differenze sociali, confessionali e geografiche". Se ciò è ora la loro forza, sembra anche il loro limite, perché dietro lo slogan dell'essere "tutti egiziani" non emerge ancora un progetto chiaro per il dopo-Mubarak.
Su quali basi potranno domani superare le differenze, in alcuni casi profonde, che esistono al loro interno e tra loro e il resto della società egiziana che sta appoggiando la loro mobilitazione? 
5) In piazza non si bruciano bandiere Usa e Israele. Né si inneggia all'Iran.
Rifiutano espressamente il modello americano e, in generale, occidentale ("Siamo egiziani, non europei né tantomeno americano). L'America è vista con molto sospetto e in Obama non vedono un salvatore bensì un leader di cui non ci si può fidare completamente. Non bruciano bandiere americane né quelle israeliane.
Alcuni gruppi di integralisti islamici, presenti anch'essi a Tahrir, anche se minoritari, non hanno bruciato bandiere di Israele ma hanno esposto slogan anti-israeliani o accusato Mubarak e Suleiman di "collaborazionismo" con i sionisti.
Si definiscono arabi e nei confronti di Tel Aviv non hanno certo sentimenti di simpatia o solidarietà. Piuttosto affermano di volere un governo che abbia una politica più ferma con lo Stato ebraico e sia veramente solidale con la causa palestinese.
Si oppongono sia alle pratiche oscurantiste di Hamas e degli altri movimenti di resistenza radicali sia al malgoverno e alla corruzione dell'Anp. 
Non guardano inoltre né all'Iran né a modelli politici basati sul fondamentalismo islamico ("Siamo musulmani ma viviamo la nostra fede in maniera privata e non integralista"). Non nominano la Turchia, ma a sentirli parlare, sembra che il modello del loro Egitto di domani possa essere quello di un paese islamico tollerante e aperto. 
6) Annullati localismi e confessionalismi. Almeno per ora. 
Finora, la mobilitazione sembra aver annullato i localismi e gli attriti tra sunniti e copti. Emblematico a piazza Tahrir il fatto che i copti proteggevano i musulmani durante la preghiera islamica e i musulmani proteggevano i copti durante le preghiere cristiane.

A parte l'insurrezione
delle tribù di beduini scoppiata nel Sinai sin dal 27 gennaio contro i simboli del potere centrale, i dimostranti del Cairo sono sembrati ben coordinati con quelli di Alessandria, delle città del Delta, dell'Alto Egitto, di Suez e di Ismailiya. 
7) Molte donne in piazza. Ma non è una novità per l'Egitto. 
La donna, nella società civile e politica egiziana, ha tradizionalmente un ruolo di primo piano. In questo caso, le donne partecipano a ogni livello della mobilitazione. Nel cuore del movimento giovanile ci sono numerose donne, per lo più trentenni, laiche, non intrappolate nelle ideologie delle loro madri. Inoltre, tra i Fratelli musulmani la sezione femminile è molto attiva e lo si è visto anche a piazza Tahrir. Ci sono poi moltissime donne mobilitate tra i liberi professionisti ma anche nelle classi medio-basse.  
8) Baradei svolge un ruolo marginale. Amr Mussa è più apprezzato, ma non è certo l'homo novus.
L'ex direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e premio Nobel per la Pace Muhammad el-Baredei ha svolto per ora un ruolo marginale. Una ristretta élite del gruppo di Kifaya, movimento fondato anni fa e di più ampio seguito sociale, lo appoggia ma la piazza potrà sostenerlo solo se emergerà come leader politico credibile. Per ora, attorno alla sua figura, c'è molto scetticismo.
Per quanto riguarda Amr Mussa, ex ministro degli Esteri poi estromesso dal regime e ora segretario generale della Lega Araba, è uno dei membri del "Comitato dei saggi", creato giovedì 2 febbraio e che starebbe negoziando col vice presidente Omar Suleiman una "transizione pacifica". Mussa è più conosciuto e apprezzato di Baradei, anche se da alcuni è considerato comunque uno che ha convissuto con Mubarak. 
9) A Tahrir ci si augura effetto domino nel resto del mondo arabo, ma la loro lotta è solo egiziana.A livello retorico dicono che la loro "lotta è quella di tutto il mondo arabo", ma di fatto hanno obiettivi esclusivamente egiziani. Né potrebbe essere altrimenti.

Sperano di poter trasmettere
la forza anche ad altri giovani arabi (Siria? Yemen? Libia?), così come loro dicono di aver ottenuto vigore dalla rivolta in Tunisia. 
10) Del canale di Suez se ne parla solo a… Suez. 
Negli slogan in piazza, in tv e nei dibattiti pubblici, così come nei manifesti politici di queste giornate, non ne ho mai sentito parlare.

Solo da martedì,
alcuni siti di monitoraggio delle notizie locali che trovano spazio su Facebook hanno diffuso l'appello di circa 6.000 lavori del canale di Suez che vogliono scioperare in solidarietà con la protesta del paese. La direzione del canale ha però smentito ogni tipo di agitazione e turbamento del traffico navale.

Tratto da: Limes

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

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