giovedì 8 novembre 2012

Cina - Si è aperto a Pechino il XVIII Congresso del Partito Comunista

La Cina che verrà

Il Congresso del PCC deciderà la nuova leadership destinata a guidare la potenza economica mondiale al tempo della crisi

Una singolare coincidenza ha voluto che le elezioni presidenziali Usa si sovrapponessero al fatidico 18esimo Congresso del Pcc cinese, imponendo paragoni schiaccianti. Da una parte la contesa incerta fino all'ultimo voto, dall'altra il grande rito preparato da mesi in segrete stanze che cambia faccia, in senso proprio, all'apparato del Partito-stato cinese. Eppure gli effetti dell'esteso cambio della guardia che in Cina installerà al potere la Quinta Generazione di leader destinati a condurre la seconda potenza economica mondiale fino al 2020, potrebbero essere anche più vasti di quelli prodotti dalla riconferma di Obama alla Casa bianca. Come sia, una nuova fase si apre su entrambe le sponde del Pacifico.
I cinesi conoscono solo alcuni nomi dei personaggi che li governeranno, almeno di quelli candidati alla leva più potente, il Comitato permanente del Politburo, ma ignorano del tutto dove quel gruppo ristretto di uomini (l'unica donna in lizza è già sparita) li condurrà. Il che aggiunge inquietudine e timore alla consapevolezza che, come ormai tutti affermano, a destra come a sinistra, quei capi dovranno cambiare la rotta economica e politica del paese per risolverne gli enormi problemi. A moltiplicare l'apprensione si aggiunge la constatazione generale che il discredito e la sfiducia che i cinesi nutrono nei confronti della propria classe politica hanno ormai raggiunto livelli allarmanti. In buona compagnia mondiale, si dirà. Ma, per dirla con Tolstoj, se le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice lo è a modo suo. 
Solo un terzo di operai e contadini
Nessuno nega che l'era di Hu Jintao e Wen Jiabao ormai agli sgoccioli ha messo la Cina nell'orbita delle grandi potenze mondiali: in quello che Il Quotidiano del popolo esalta come il «decennio glorioso» l'economia è quadruplicata, il paese è diventato il primo esportatore mondiale, il primo detentore di riserve valutarie del pianeta e non è solo retorica scrivere, come fa l'organo ufficiale del Pcc, che «mai la Cina ha ricevuto tanta attenzione dal mondo e mai il mondo ha avuto tanto bisogno della Cina». Anche il Partito comunista è cresciuto nel frattempo. Oggi ha oltre 82 milioni di iscritti dei quali solo un terzo è costituito da operai e contadini, rappresentando così a suo modo l'articolazione sociale indotta da oltre 30 anni di riforme e aperture che hanno costruito il «mercato con caratteristiche cinesi». Ma la percezione diffusa di questa organizzazione capillare, che ha dato prova di enormi capacità di trasformazione anche ideologica, è di un'isola elitaria, che seleziona severamente le richieste di appartenenza avanzate dai molti che vorrebbero accedervi per i vantaggi e i privilegi che offre il farne parte. Un'isola circondata dal mare ribollente di una società cinese sempre più frammentata e polarizzata, per interessi e aspettative, e che in nulla rispecchia l'insieme «armonioso» che il Pcc vorrebbe rappresentare al proprio interno. 
Quante sono le rivolte sociali?

Grecia - Dura protesta durante l'approvazione dei nuovi tagli.


Per tutta la giornata di ieri è continuato l'assedio al Parlamento contro l'approvazione delle misure di austerità, con la partecipazione di oltre 100.000 persone. Le nuove misure da  13,5 miliardi di euro che prevedono  tra l'altro aumenti delle tasse, licenziamenti e tagli alle pensioni. I tagli sarebbero quelli dettati dalla Troika per accedere agli aiuti internazionali.
Ci sono state cariche della polizia ma i manifestanti sono rimasti fino a sera. La polizia è intervenuta con idranti mentre c'erano scontri in tutta la zona.
Intanto in Parlamento prima non è stato possibile procedere con i lavori per lo sciopero degli impiegati interni. La protesta aveva fatto sì che addirittura i poliziotti si posizionassero all'entrata dell'aula. Poi i deputati di Syriza hanno abbandonato l'aula in segno di protesta per le procedure illegittime usate per procedere nella votazione.
Alle 20.00 una pioggia fortissima ha costretto i manifestanti a cercare riparo fuori dalla piazza ed intanto in Parlamento si stava tentando da parte del Governo di approvare ad ogni costo le misure.

mercoledì 7 novembre 2012

Stati Uniti - Obama vince le elezioni


Obama si conferma presidente degli Stati Uniti. 
Nella notte arrivano i dati dai vari stati che vedono il chiaro vantaggio di Obama sullo sfidante Romney.
I voti presi dal presidente sono minori della scorsa elezione e i commentatori affermano che la parte di elettorato che ha confermato il voto per Obama si concentra nella parte nord del paese e in alcuni stati quali New Mexico e Florida con una grande presenza di immigrati, come dire che hanno confermato la propria scelta lavoratori, neri, minoranze che si sono aggiunti ai voti classici dei democratici e cioè giovani e donne ì, abitanti delle realtà urbane e con maggior tasso di istruzione. Romney ha avuto più consensi, come era prevedibile tra la popolazione più anziana, bianca, religiosa e in generale nella parte sud del paese e nelle aree agricole.
E' stata una campagna elettorale giocata tutta su temi interni e collegati alla crisi. 
Nel discorso di questa notte Obama oltre alle frasi che vengono citate tra cui la più gettonata è " .. il meglio deve ancora venire," ha detto di aver imparato dagli errori e di voler essere un presidente più forte più determinato, tracciando alcuni temi come la ricerca del dialogo con i repubblicani, una politica fiscale per creare una nazione in cui i figli non vengano penalizzati dalle diseguaglianze, il tema dell'immigrazione. 
I commentatori si concentrano sul futuro e sulle prossime scelte del presidente che affermano potrebbe essere più libero nei prossimi quattro anni non avendo davanti una nuova campagna elettorale.
Oltre alla elezione del Presidente c'erano in palio 33 seggi al Senato ed un terzo di quelli alla Camera.  Dai primi dati la Camera dei Rappresentanti è rimasta in mano ai repubblicani con 223 seggi (la maggioranza è 218) mentre al Senato è confermata la maggioranza democratica.
Nella giornata di martedì si sono svolti anche circa 160 referendum e consultazioni a livello statale, locale, municipale etc ..  Alcune di queste consultazioni riguardavano il tema del consumo di cannabis:  il Colorado e lo Stato di Washington sono diventati i primi stati americani a legalizzare l'uso della cannabis per uso ricreativo. Già altri Stati ne hanno autorizzato l'uso a scopo medico ma questi due sono i primi a legalizzarne l'uso per "fini ricreativi".
RASSEGNA STAMPA
* Cina
E' emblematico pensare che a poco ore dalle elezioni americane domani in Cina si aprirà il diciottesimo Congresso del Partito Comunista, che determinerà il nuovo gruppo dirigente cinese. Una delle principali agenzie cinesi titola "Gli occhi del mondo puntati sulla Cina" ... nel sito web del Quotidiano del Popolo le elezioni americane sono a fondo pagina e nella versione inglese del sito (portavoce del partito Comunista stesso) si dice: “Il problema americano: la politica dettata dal denaro raramente sostiene le riforme”. Il resto dei media cinesi sottolinea come per fortuna sia finita la campagna elettorale americana e dunque ci sarà meno   “China bashing”, ovvero atteggiamenti di critica alla Cina da utilizzare a favore dei propri elettori. Se questa è la dimensione della stampa ufficiale pare che invece la rielezione di Obama sia il tema più popolare nell'equivalente di Twitter cinese, con 25 milioni di twet.
* America Latina
Nella Jornada on line, sito tra i più frequentati il commento alla rielezione si conclude dicendo "In un certo senso, è cambiato tutto e niente"
* Europa
Ecco i link dei commenti usciti nelle principali testate on line

martedì 6 novembre 2012

Stati Uniti - Cinque cartoline da Sandy


Riflessioni da New York

di Angel Luis Lara

1. L'uragano Sandy è stato considerato soprattutto come un sintomo ed un risultato del cambiamento climatico. Lontano dall'essere un fenomeno naturale, questo cambiamento è una questione sociale, politica e culturale: riporta alla qualità delle relazioni sociali nelle quali viviamo, al tipo di politiche con le quali siamo governati e alle forme di vita nelle quali socializziamo. Quando il dato economico costituisce la chiave di spiegazione del sociale, del politico e del culturale, tutto deriva irrimediabilmente dall'economia: anche il cambiamento climatico. Anche se il famoso Rapporto Stern ha rivelato nel 2006 che questo cambiamento provocherà una caduta del PIL mondiale che può arrivare al 20% nei prossimi decenni, l'attuale imposizione dell'austerity e il sequestro dittatoriale della moneta rendono impossibile lo sviluppo degli investimenti necessari per impedire il disastro. Il capitalismo assomiglia sempre più ad un serpente che si morde la coda. Al Gore, paladino della coscientizzazione sul cambiamento climatico, è una buona prova di questo. Lui è padrone di tre ville e vive in una casa con decine di stanze e la piscina privata: si calcola che il modo di vivere della sua famiglia consuma venti volte più energia elettrica che un'abitazione media del suo paese. Anche se gli statunitensi costituiscono meno del 5% della popolazione del pianeta, consumano il 26% dell'energia mondiale. Inoltre generano da soli il 24% del totale delle emissioni di anidride di carbonio che si producono nel mondo.  Il Rapporto Stern sottolineava già 6 anni fa, che questo tipo di emissioni stava generando un incremento nella velocità del vento che minacciava di scatenare violenti uragani ed inondazioni negli Stati uniti. Dunque alla fine un serpente che si morde la coda.
2. Sandy ha messo sul tavolo i temi che il tempo elettorale aveva ignorato: tra questi il primo è proprio quello del cambiamento climatico. La recente campagna elettorale si è caratterizzata dai silenzi e dai vuoti generalizzati. La logica elettorale è solita a convertire la politica in retorica vacua o come si dice ora, in un semplice esercizio ideolessicale: mero gioco semantico e costruzione ideologica. Il fatto certo è che nella sua condizione ideolessicale, le elites del mondo si dividono tra quelle che negano il cambiamento climatico e quelle che lo ammettono però si impegnano con tutte le loro forze a che l'umanità non possa combatterlo. Romney fa parte della prima e Obama della seconda. Nel 2009 c'è stato a Copenhagen la XV Conferenza sul cambiamento climatico dell'ONU. Giorni prima Obama aveva firmato un accordo con le autorità cinesi per bloccare la conferenza ed impedire un accordo mondiale vincolante per permettere la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Come sappiamo, il Rapporto Stern ha collegato direttamente queste emissioni agli uragani negli Stati Uniti: qualcuno potrà pensare alla produzione politica di Sandy. Il fatto certo è che nelle recenti elezioni per la Casa Bianca gli statunitensi si sono visti costretti a scegliere tra un politico che nega la realtà ed un altro che si impegna non solo a far sì che questa realtà non cambi ma per certi versi peggiori.  Questo sarà il nostro destino fino a quando resteremo stretti nel cerchio concentrico delle elites e di quello che è istituito. Il capitalismo non solo è un serpente che si morde la coda, ma anche un labirinto.
3. La produzione politica delle cause di Sandy è simmetrica alla produzione politica delle conseguenze. Prima di Sandy, New York aveva sofferto dell'intensa gestione neoliberista degli ultimi quattro sindaci.  Giuliani e Bloomberg sono risultati particolarmente virulenti in questo senso: le loro politiche municipali hanno eroso considerevolmente le infrastrutture della città, creando un obsolescenza nei trasporti, moltiplicando le infrastrutture e estendendo la povertà. Nel suo libro Shock Economy, Naomi Klein ha definito questa ingegneria socio-economica come "capitalismo del disastro". A New York esisteva già un disastro prima dell'arrivo del disastro: l'abbandono neoliberista delle infrastrutture locali ha favorito non di poco l'invito per Sandy. I più di quaranta morti nella città, la sospensione del trasporto urbano, le case distrutte e la sospensione del servizio elettrico illustrano realmente la materialità di uno shock segnato da nomi e storie vere e reali.  Elisabeth, per esempio, vive a Long Island e ha perso il suo yacht. La sua casa lussuosa sulla spiaggia ha avuto danni alla struttura. Ha racconto la sua storia alla catena televisiva Fox. Era profondamente commossa e non poteva smettere di piangere. Maria viene filmata nella trasmissione al canale Univisión a Coney Island. Era molto seria e tranquilla. Così come suo marito, lei è una persona migrante senza documenti. Tutte e due abitano con i loro tre figli in un piano sottointerrato con poca luce e scarsa ventilazione. Mentre Maria raccoglie l'acqua, una reporter cerca senza esito di farle dare una testimonianza. Stanca della giornalista, infine le ha rilasciato questa dichiarazione: "guardi signorina, questa situazione non è di adesso, ci succede ogni volta che piove. Io soffro per Sandy tutta la mia vita".
4. Sandy non solo ha messo in luce a New York l'erosione neoliberale delle infrastrutture, ma anche ha reso evidente l'abbandono delle persone: migliaia di newyorchesii  sono ancora senza luce,  acqua,  riscaldamento,  accesso agli alimenti ancora a molti giorni dal passaggio dell'uragano. Poi è successo il miracolo: una marea di gente comune e anonima ha cominciato ad autorganizzarsi per tessere una fitta rete di cooperazione che ha portato migliaia di volontari, acqua, medicine, vestiti e tonnellate di alimenti nelle zone maggiormente colpite. Si tratta di una esperienza veramente bella e profonda spinta da due motori fondamentali. Il primo si basa su un carattere culturale e si connette con il comunitarismo che, a differenza del modello d'intervento europeo, ha caratterizzato la vita urbana nelle grandi città degli Stati Uniti: l'assenza di intervento pubblico ha favorito una cultura della community e dei tessuti locali attivi. E' un fenomeno contraddittorio e complesso del quale ha parlato dieci anni fa il sociologo francese Jacques Donzelot, in un interessantissimo libro che è stato oggetto di una critica spietata da parte della sinistra  (Faire société: la politique de la ville aux États-Unis et en France). Il secondo motore della potente esperienza di cooperazione che Sandy ha scatenato ha un carattere politico: Occupy Wall Street. Sono stati gli attivisti quelli che hanno mossi i primi passi, che hanno lanciato l'appello e che hanno organizzato le reti digitali sulle quali si è estesa la materialità dell'esperienza. Occupy Wall Street  è ora Occupy Sandy
5. Anche se dai suoi inizi il movimento Occupy  ha funzionato come uno spazio di incontro tra differenti, l'egemonia graduale di una componente attivista tradizionale, caricata di gesti e linguaggi che risultano generalmente escludenti, ha sottratto potenza all'esperienza sia svuotandola di persone comuni sia sconnettendola dai registri estetici e formali della sinistra. Lo scorso mese di settembre  abbiamo letto il rito della commemorazione dell'occupazione di  Zuccotti Park come una scena stessa del decesso irrimediabile della potenza del movimento. Ma ci sbagliavamo, come ci succede la maggior parte delle volte. Sandy ha generato la seconda resurrezione di Occupy. La prima si era prodotta all'inizio, quando la brutalità della polizia colpì a fondo l'opinione pubblica e mobilitò la sensibilità comune di gran parte della città a favore del movimento. La seconda è arrivata con l'uragano che è stata in grado momentaneamente di dislocare la terribile disfunzionalità che ci portiamo dietro in molti che veniamo dall'attivismo tradizionale: quando smettiamo di intendere l'azione politica come il progetto di costruzione di un soggetto e una identità, siamo capaci di articolare il movimento come infrastruttura e agenzia al servizio del comune, dell'intelligenza collettiva e delle forme di soggettivizzazione e di vita in rete. Ed allora torna la gente e il movimento di nuovo è fatto da ognuno e la politica è ancora una volta stare insieme intorno ai problemi che ci riguardano e il senso di questo naviga in una orbita costituente. Quello che abbiamo già conosciuto nella piazza. La politica di cui ha bisogno il presente. Occupy Sandy ha dimostrato che gli amici e le amiche dello spazio Making Worlds avevano ragione quando dicevano a quelli di noi più stanchi che la soluzione non era abbandonare la barca, ma stare, nonostante tutto ed in in qualche modo, nel movimento. Questo è quello che succede ora. Agli stanchi e ai profeti ci tocca ascoltare e imparare, come sempre.

Mali - Il prossimo Afghanistan?


di Immanuel Wallerstein
Fino a poco tempo fa ben pochi avevano sentito parlare del Mali, a parte i suoi vicini e la sua vecchia potenza coloniale (la Francia) ed ancor meno persone ne sapevano qualcosa della sua storia e della sua politica. Oggi, il nord del Mali è stato preso militarmente da gruppi "salafiti" che condividono il punto di vista di Al Qaeda e praticano le forme più dure della sharia – con lapidazioni e amputazioni come pena.
L'occupazione militare è stata condannata con voto unanime dal consiglio di sicurezza dell'ONU, che ha affermato che "costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale". La risoluzione cita "il rapido deterioramento della situazione umanitaria" e il "finanziamento sempre maggiore di elementi terroristici" e le loro "conseguenze per i paesi del Sahel e altri paesi". L'ONU ha dichiarato di essere preparata a considerare la costituzione di una "forza militare internazionale (...) per recuperare (...) le regioni occupate nel nord del  Malí".
La risoluzione è stata unanime, però non ha mosso niente. Oggi il Mali rappresenta il caso più chiaro di paralisi geopolitica. Tutti i poteri importanti e minori nella regione ed anche più in là sono genuinamente costernati; nonostante ciò nessuno pare disposto o capace di fare qualcosa per paura che fare qualcosa porti a quello che viene definito un processo di ""afghanizzazione" del Malí.
Ci sono per lo meno una dozzina di attori implicati e quasi tutti  sono divisi profondamente tra di loro.
Come è cominciato tutto questo?

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!